“Ricordi e forti emozioni”. Gianluca Vialli, in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, spiega cosa ha risvegliato in lui l’affiancare nuovamente Roberto Mancini. Una volta facevano magie in campo, adesso il “Mancio” è il ct di una Nazionale che ha nel suo gemello del gol il capodelegazione. Un ruolo che, spiega, gli “dà l’opportunità di fare quello che voglio fare adesso nella vita: ispirare le persone. Ho trovato un’organizzazione perfetta, un ambiente ideale, il rapporto tra lo staff, i giocatori e i magazzinieri, i massaggiatori. Sembra che tutti si vogliano bene e siano felici di essere qua. Merito del presidente Gravina, che ha trasformato la Nazionale in un club, e di Roberto, che è riuscito a creare un’atmosfera veramente molto bella”. Come il Mancio, non riesce a mandar giù le partite senza pubblico: “Il calcio si gioca in uno spazio particolare dove sei nudo in un’arena davanti ad un pubblico. È meraviglioso, ma terrorizza e se non c’è pubblico non è la stessa cosa, sia per chi fa il calcio sia per chi lo vede da casa”. Detto queste, Vialli parte dal presupposto che, in tempi di pandemia, è necessario il rispetto delle “regole e dell’autorità che decide, il rispetto della salute dei calciatori e di tutti quelli che fanno parte dell’ambiente. Bisogna dimenticare gli interessi personali o di parte per fare l’interesse del movimento. Dobbiamo trovare il modo di continuare a giocare nelle condizioni più sicure possibili”.
A un bambino direbbe: “il calcio è gioia, ti permetterà di crescere, di migliorare, di imparare a stare in un gruppo, il rispetto delle regole, a rialzarti quando hai una battuta d’arresto e a cercare di superare sempre i tuoi limiti. E poi di non arrendersi se qualcuno ti dice che non hai talento. Il talento può essere la fine di un percorso, non necessariamente l’inizio. Bisogna sempre imparare. Bisogna avere doti che non hanno a che fare col talento: la determinazione, il rigore, l’abnegazione, l’energia, l’etica, la serietà, la puntualità… Il talento può essere un dono, ma anche una conquista”. Cose che ha ritrovato lottando contro il tumore. “Non l’ho mai considerata una battaglia, perché ho sempre pensato che il cancro è meglio tenerselo amico. L’ho sempre considerato un compagno di viaggio che avrei evitato. Adesso cercherò di farlo stancare, in modo che poi mi lasci proseguire. Comunque sì, questo modo di intendere la vita mi è servito molto, perché se fai il calciatore impari la disciplina e quindi accetti certe cose che devono essere fatte durante la malattia, impari a non lamentarti. La vita è per il dieci per cento quello che ti accade e per il novanta quello che tu produci con intelligenza, passione, capacità di reazione”. Lo “scudetto con la Samp” il momento più bello della sua vita da calciatore, di questa Italia dice che “può fare molto bene. Sono rimasto impressionato dalla bravura di Roberto. Fa un calcio efficace, offensivo, innovativo con un gruppo molto giovane. Avremmo voluto giocare l’Europeo, però un anno in più forse ci dà l’opportunità di crescere. Arriveremo a giugno più forti di quanto lo saremmo stati nel 2020”.
Detto che è felicissimo “di fare il capodelegazione dell’Italia”, rivela: “un giorno mi piacerebbe fare il presidente di una squadra. Vorrei che le società facessero più per la comunità, che il tifoso non fosse soltanto un cliente ma anche un partner coinvolto nella vita della società”. Spazio al campionato, alla lotta scudetto. “Credo che quest’anno sia difficile per la Juve, al di là del cambio di allenatore. È quasi fisiologico, dopo 9 anni, che gli altri abbiano trovato le contromisure. Sarà più aperto. L’Atalanta mi piace da morire, è una squadra nella quale avrei voluto giocare perché il gioco di Gasperini per un attaccante è l’ideale. I bergamaschi giocano con quello spirito che mi piace: avventuroso, coraggioso. C’è altruismo, giocano con continuità e da squadra. Che poi sono i valori che cerchiamo in Nazionale. Il Papu Gomez è un giocatore totale. Fantastico. Poi però ci sono Messi, Ronaldo, Neymar, Lewandowski, il Pallone d’oro a Gomez lo assegnerei, però non darlo a questi è difficile”. Tornando alla lotta al tumore, Vialli spiega: “L’ho vissuta con la testa dell’atleta ma poi, l’ho vista più da padre e da figlio e quindi è stata molto più dura. Mi sforzo di essere positivo. In verità me la faccio anche addosso tantissimo, ho dei momenti difficili da gestire dal punto di vista emotivo, ma vedo questa fase anche come un’opportunità. Se è arrivata è perché avevo bisogno di viverla e di imparare qualcosa e quindi di continuare il mio percorso di crescita umana. È quello che sto facendo. Con fatica e ottimismo”.
(ITALPRESS).
Vialli “Voglio ispirare le persone e in azzurro posso farlo”
Vuoi pubblicare i contenuti di Italpress.com sul tuo sito web o vuoi promuovere la tua attività sul nostro sito e su quelli delle testate nostre partner? Contattaci all'indirizzo [email protected]