
di Raffaele Bonanni
ROMA (ITALPRESS) – Ventotene. Un nome che evoca più capitoli della nostra storia essendo stato luogo di prigionia di oppositori importanti prima dei borboni, dopo del fascismo. Negli anni Quaranta, su questa piccola isola, tra gli altri, furono mandati da Mussolini gli oppositori Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni e lì scrissero il celebre Manifesto di Ventotene. Un documento che propose di superare i nazionalismi, immaginando un’Europa su basi federali per pacificarla. Eppure, il Manifesto non riguardava solo il tema Europa. Tra le sue righe, gli autori delinearono l’idea di limitare l’iniziativa privata e di guidare energicamente i popoli verso un benessere imposto dall’alto. Un aspetto difficile da accettare da democratici. Proprio su questi punti si è soffermata Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, durante un intervento recente in Parlamento. La premier ha sottolineato come tali principi siano lontani non solo dalla sua visione politica, ma anche dalla sensibilità attuale della maggioranza degli italiani. Le sue dichiarazioni hanno scatenato un acceso dibattito, con critiche e accuse di aver sminuito il valore del Manifesto, alimentando polemiche ancora aperte.
In realtà, Meloni ha semplicemente evidenziato due aspetti che oggi appaiono superati. L’idea di uno Stato che comprime l’iniziativa privata ed indirizza forzatamente i cittadini verso un presunto bene comune è stata più volte smentita dalla storia. I regimi comunisti e fascisti, pur con modalità differenti, ne hanno offerto esempi disastrosi. Ma va sottolineato che entrambe le ideologie furono influenzate dalle teorie hegeliane sullo Stato etico, rielaborate da Labriola per la sinistra e da Gentile per il fascismo. In entrambi i casi, la libertà individuale è stata sacrificata in nome di un potere paternalistico e autoritario. Il paradosso di questa polemica è che a confrontarsi sono stati, seppur lontanamente, proprio gli eredi politici di quelle ideologie, divisi tra chi condanna quei passaggi e chi li giustifica come “figli del loro tempo”. In questo scontro, il cuore del Manifesto – l’idea di un’Europa federale – è stato trascurato, così come il fatto che la sinistra, allora vicina all’Unione Sovietica, avesse osteggiato il progetto di un’Europa unita. Va ricordato che anche allora l’unità europea era avversata da Mosca tramite i partiti comunisti nei vari Paesi, ed anche in Italia.
L’idea di un’Europa federale, però, non nacque a Ventotene. Gli Stati Uniti rappresentavano un modello già consolidato da oltre due secoli, mentre intellettuali italiani come Gioberti, Ferrari e Cattaneo avevano immaginato una federazione italiana, Cattaneo ispirandosi alla Confederazione Svizzera. Tuttavia, dopo le devastazioni della Seconda guerra mondiale, il Manifesto fornì una guida per garantire pace e stabilità nel continente, ponendo fine ai conflitti di interesse che avevano insanguinato l’Europa per secoli. Oggi, in un contesto globale scosso da tensioni internazionali, guerre e sfide planetarie, la politica sembra più concentrata sulle schermaglie mediatiche che sulla costruzione di progetti condivisi. Il dibattito su come rafforzare l’Unione Europea, creare una difesa comune, integrare economie e politiche energetiche è spesso limitato e confuso. Si preferisce litigare, rivolgendosi a un pubblico sempre più disilluso e stanco. Ma la storia insegna che, nei momenti più difficili, l’umanità ha saputo superare i propri limiti per migliorarsi. Le crisi sono spesso la spinta necessaria al progresso. Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di recuperare il senso della realtà, il pragmatismo e la capacità di costruire visioni comuni.
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