Una gloriosa star, un film da girare, una figlia sceneggiatrice, una giovane diva che tutti adorano… C’è tutto il cinema, nella sua prismatica potenza evocativa della vita e della finzione, al centro di “La vérité”, il primo film occidentale di Hirokazu Kore-eda, col quale Alberto Barbera ha giustamente scelto di aprire la 76ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Ed è la conferma della grandezza di questo regista giapponese, che di film in film ha saputo imporsi all’attenzione internazionale, sino alla Palma d’Oro dello scorso anno a Cannes per “Un affare di famiglia”. Qui al Lido, dove l’ha chiamato per l’apertura della Mostra con “La vérité”, Barbera l’ha voluto giustamente anche in competizione, dal momento che si tratta di un film tutt’altro che minore, di certo non uno di quelli che i grandi registi asiatici vengono a girare in occidente con cast internazionale. Hirokazu Kore-eda ha infatti costruito il suo film in aperta simbiosi con le star che ha sul set, a iniziare dalla più gloriosa di tutte, Catherine Deneuve, che si rispecchia nel personaggio di Fabienne, star francese dal luminoso passato, che ha appena dato alle stampe la sua autobiografia e sta per tornare sul set in una sorta di melodramma di fantascienza.
La sua villa nel cuore di Parigi è immersa nel clima decadente dell’autunno e accoglie l’arrivo dall’America di sua figlia, Lumir, interpretata da una sempre Juliette Binoche sempre più immediata e brava, assieme alla figlioletta e al suo uomo, un attore di serie B i nterpretato da Ethan Hawke. Le verità del loro passato familiare sono state rimosse dall’autobiografia di Fabienne e Lumir le rimprovera, in realtà senza troppa acrimonia, le omissioni e le invenzioni sulla sua infanzia. Ma a turbare Fabienne è molto di più il confronto sul set con la neodiva Manon (interpretata dalla bravissima emergente Manon Clavel), che tutti paragonano alla sorella della vecchia star, morta nel fiore dei suoi anni e della sua luminosa carriera. E’ su questa dinamica (che del resto rievoca la traccia lasciata nella biografia reale della Deneuve dalla morte prematura della sorella Françoise Dorléac, diva lanciatissima negli anni ’60) che Hirokazu Kore-eda costruisce il dramma di un film lievissimo, affabile nella sua ironia diffusa e intenso nella commossa partecipazione di finzione e realtà alla definizione della verità più intima dei personaggi. Ogni cosa si muove nel film con una leggerezza espressiva mirabile, trovata nel continuo slittare dei piani reali e finzionali in cui si muovono i personaggi. A governare questa magia e la sfrontata indifferenza con cui Fabianne governa la realtà, la finzione, la menzogna e la verità, trovando nella divertita interpretazione di Catherine Deneuve la giosta chiave. Soprattutto in contrapposizione alla placida intransigenza della Lumir interpretata da Juliette Binoche.
“La vérité” (che in Italia uscirà a inizio ottobre distribuito da Bim col titolo “Le verità”) si struttura del resto partendo dal solito grumo affettivo familiare che è tipico del cinema di Kore-eda, in cui i legami solo tanto autentici e profondi quanto lievi e apparentemente liberi. Le figure femminili sono sempre quelle che tengono le fila delle relazioni, mentre gli uomini giocano la loro identità quasi in maniera speculare rispetto alle attese delle donne, preservando una ingenuità che li rende quasi astratti.
VENEZIA, DENEUVE E BINOCHE APRONO CON “LA VERITE”
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