Di Stefano Vaccara
NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Martedì sera è probabile che quasi cento milioni di americani assisteranno al primo (e forse unico) dibattito organizzato a Filadelfia sul network ABC tra l’ex presidente Donald Trump e la vice presidente Kamala Harris, rispettivi candidati del partito repubblicano e democratico alla presidenza degli Stati Uniti (il record di spettatori fu battuto nel 2016 con 84 milioni per il primo dibattito tra Hillary Clinton e Donald Trump). Persino una sola parola inaspettata dai candidati in risposta alle domande di David Muir e Linsey Davis, giornalisti di uno dei tre storici canali della tv americana – considerato più ‘moderato” di NBC e CBS, la ABC attira spettatori di entrambi i partiti, ma Trump preventivamente lo ha già accusato di parzialità e trucchetti – potrebbe determinare il successo o il fallimento di una intera campagna elettorale. Le regole sono state fissate e la più importante è che il microfono di chi dovrebbe solo ascoltare in quel momento rimarrà spento, evitando così di interrompere o mostrare emozioni (il microfono acceso costò nel 2000 ad Al Gore il dibattito con G.W. Bush, per gli irrispettosi sbuffi che l’allora vicepresidente di Clinton emetteva ad ogni risposta dell’avversario. Ben altri tempi rispetto agli attuali “lei è stupida!” o “lui è un aspirante dittatore!”). Harris lo avrebbe voluto acceso quel microfono perché oltre a sperare nella perdita di controllo di Trump, avrebbe voluto ribattere immediatamente se l’ex presidente avesse detto plateali falsità come accadde nel dibattito di giugno con Biden. Alla fine l’accordo si è trovato con la promessa dello staff dell’ABC di consentire, se fosse il caso, di poter subito controbattere, ma la scelta di quando riaprire il microfono resta sotto il controllo degli anchor Muir e Davis.
In che “salute” arrivano le campagne elettorali di Trump e Harris a questo attesissimo duello in tv, che come avvenne nel primo del 1960 tra il sudato Nixon e lo smagliante Kennedy fino a quello di giugno della scena muta del Presidente Joe Biden, potrebbe dare la spinta per la vittoria o determinare il tracollo di un candidato? Secondo gli ultimi sondaggi, vedono a livello nazionale Harris di poco in vantaggio su Trump (49% a 46%) ma “statisticamente” alla pari negli Stati che contano di più: i sette “altalenanti” che negli ultimi anni in quella mappa finale che li assegna ai vincenti, sono passati dal blu (dem) al rosso (rep) e viceversa. Sono: Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Arizona, Nevada, Georgia e North Carolina (questo era una volta considerato “rosso” ma da quando ha vinto un governatore democratico, si pensa possa essere “swinger”, prendendo il posto dell’Ohio che intanto è ormai stato assegnato ai MAGA di Trump, come del resto già successo con la Florida). Nella preparazione al dibattito di martedì, i due candidati dovranno mantenere le risposte sintonizzate agli umori degli elettori di questi sette Stati. Intanto nelle finanze a disposizione delle due campagne, Harris arriva al dibattito stravincendo su Trump. La campagna della vicepresidente ad agosto ha raccolto quasi il triplo di quanto ha incassato quella dell’ex presidente: 361 milioni di dollari raccolti dal ticket Harris-Walz contro i 130 milioni donati a quello Trump-Vance in 30 giorni. Inoltre i soldi arrivati nelle casse della campagna di Harris lo scorso mese, battono ogni record precedente di raccolta nella storia americana. La campagna di Harris ha ora in totale a disposizione 404 milioni di dollari in contanti, rispetto ai 295 milioni di dollari della campagna di Trump. Dove le due campagne stanno spendendo di più? Ovviamente nei magnifici sette stati elencati prima, con una concentrazione particolare di entrambi sulla Pennsylvania dove restano alla pari e dove avverrà il dibattito di martedì. Quali restano i temi più scottanti su cui si dibatterà nel duello Trump-Harris di martedì in tv? Analizziamoli uno per uno.
1) “It’s the economy, stupid”. Già, come diceva lo slogan che nel 1992 determinò la vittoria del quasi sconosciuto governatore dell’Arkansas Bill Clinton sul presidente vincitore della prima Guerra del Golfo George Bush, l’economia resta il tema fondamentale per la maggioranza di elettori degli stati in bilico. Qui, come ha dimostrato anche una recente analisi sulla CNN, Trump è in vantaggio su Harris, che soffre dell’appartenenza all’attuale ““Bidenomics” che, nonostante concreti successi in situazioni difficilissime dettate dalla post-pandemia, non è riuscita finora a scrollarsi di dosso le accuse di aver causato l’inflazione (ora sotto controllo) e in genere di non aver cambiato la situazione di chi resta tagliato fuori dal benessere economico di chi invece prospera nell’economia digitale e globalizzata. Gli strateghi della campagna di Trump lo sanno bene e da tempo cercano di tenere concentrato il loro candidato su certi temi e di fargli smettere gli attacchi personali all’avversaria solo controproducenti. Trump ascolterà i suoi consiglieri? Nei social o nei suoi comizi finora non lo ha mai fatto, ma vediamo se riuscirà nel dibattito di martedì. Proprio giovedì a New York, si è dovuto concentrare sui temi cari al business e all’alta finanza, dando così un’anteprima di quello che potrebbe ripetere durata il dibattito, soprattutto sul ritorno dei tagli alle tasse per le grandi società. Trump ha anche svelato la creazione di una commissione per l’efficienza governativa che, a suo dire, l’uomo più ricco del pianeta Elon Musk (che appoggia la sua candidatura) ha accettato di presiedere se l’ex presidente verrà eletto a novembre. Harris dal canto suo, dovrà recuperare sull’economia e quindi sta cercando di “distinguersi” dalla Casa Bianca, annunciando per esempio un programma di tagli fiscali alle “piccole Corporations” e alle start up” ancora più ambizioso di quello introdotti da Biden e promettendo ulteriori aiuti alla classe media con aumenti sostanziali di tasse alle grandi corporation. Può Harris accorciare il distacco su questi temi sulle preferenze degli elettori negli swing States rispetto a Trump? Nel duello durante il dibattito prevediamo prolungati fendenti sui temi economici con Harris che cercherà di limitare i danni per sfidare il suo avversario invece nei campi dove la candidata democratica è più forte e pronta ad avvantaggiarsi nelle preferenze.
2) Legislazione sull’aborto. Trump resta dipendente dai voti del movimento che non solo pretende di mettere al bando l’aborto a livello federale, ma chiede anche limiti alla contraccezione e all’assistenza sanitaria riproduttiva. Trump durante la sua presidenza ha già risposto a certe richieste, per esempio con norme emanate dalla sua amministrazione che consentivano ai datori di lavoro che avevano un’obiezione religiosa o morale di rifiutarsi di coprire le spese mediche sul controllo delle nascite per i propri dipendenti, fino a nominare i giudici della Corte Suprema che hanno votato, con altri tre membri repubblicani, il ribaltamento della celebre sentenza Roe vs Wade ponendo così fine al diritto costituzionale all’aborto. Ma la sentenza della Corte Suprema è profondamente impopolare non solo negli stati blu, ma anche in molti dei sette stati in cui si deciderà la vittoria del 5 novembre e Trump se ne rende benissimo conto. Infatti ha già tentato di far accettare l’insostenibile posizione di prendere le distanze dalle conseguenze delle sue nomine sulla decisione della Corte di dare agli stati il potere di legiferare contro il diritto all’aborto. Quando gli è stato chiesto delle conseguenze delle sue nomine alla Corte Suprema durante il suo dibattito con il presidente Biden, Trump ha sviato accusando i democratici di estremismo affermando che vogliono ‘togliere la vita a un bambino all’ottavo mese, al nono mese e persino dopo la nascita’. Biden non ha saputo (o potuto?) controbattere, ma con Kamala Harris la reazione sarà ben diversa. Il diritto delle donne ad avere il controllo sulla decisione di abortire o meno, resta una delle questioni che preoccupano un’importante fetta di elettori anche degli stati indecisi e non sono solo le donne a tremare. Qui Harris potrebbe schiacciare Trump alle sue responsabilità per i passi indietro sul diritto al controllo del proprio corpo da parte delle donne che sembravano ormai irremovibili. Trump dovrà pensare ad un risposta diversa da quella che diede a Biden per tentare di chiudere la questione senza dar ulteriori vantaggi a Harris, ma la vittoria della vice presidente su questo scottante tema appare scontata.
3) Immigrazione. Quello della valanga di migranti ai confini pronta a sotterrare gli USA è un tema che preoccupa molto gli americani e può fare ancora scintille, ma potrebbe non più risultare così favorevole a Trump come invece si sarebbe potuto prevedere fino a qualche mese fa. Infatti i confini “colabrodo” con il Messico dei primi anni dell’amministrazione Biden, sono stati negli ultimi tempi riparati – grazie a degli interventi restrittivi della Casa Bianca sulle modalità delle richieste di asilo – e la crisi degli arrivi, seppur ancora lontana dall’essere risolta, non è più fuori controllo. Harris è pronta a ribattere alle accuse di Trump di essere lei artefice del fallimento dell’amministrazione nel contenere l’afflusso di migranti chiamati dall’ex presidente “criminali, stupratori, malati di mente usciti dai manicomi…”. Infatti ripeterà quello già detto alla Convention: c’era pronta una legge bi-partisan al Congresso per essere votata ma è stato proprio Trump a dare l’ordine al partito repubblicano ormai a lui sottomesso di silurarla per non concedere vantaggi alla campagna elettorale dell’allora candidato Biden. Probabile quindi un pareggio su questo tema. 4) Ambiente ed Energia. “Drill baby drill” (trivella, baby, trivella) era uno degli slogan più urlati dai delegati alla convention repubblicana di Milwaukee, per sottolineare che con Trump si abbandoneranno le cosiddette restrizioni ambientali volute dall’ONU e dagli accordi di Parigi per contenere il “Climate Change”. Invece l’America tornerà “MAGA” solo con la sua indipendenza energetica succhiando tutto il petrolio e il gas che ha in terra e in mare. Su questo tema Trump straccia Harris? Dipende sempre dalla fascia di elettori interessati. Certamente in certi stati come la Pennsylvania, condizionati dai posti di lavoro legati alle energie fossili tradizionali, il “drill baby drill” e il “frack baby frack” (fracking è una tecnica di scavo più profonda con conseguenze ambientali ancora peggiori) il tema torna utile a Trump, ma Harris sembra determinata a recuperare mostrandosi meno “climate change” dipendente (la vice presidente, che prima era contraria, ora ha promesso di considerare in certi stati utile persino il fracking). Però Harris così rischia di allontanare quelle fette di voto ambientalista che potrebbero, in stati chiave, indirizzarsi verso la candidata “verde” Jill Stein, che già nel 2016 con poche migliaia di voti costò in certi stati la vittoria a Hillary Clinton. Trump sicuramente ripeterà che la vendita di automobili a benzina non può essere “frenata” con misure legislative e che le auto elettriche non possono diventare “obbligatorie” – come avverrà già in California-, un tema che piace molto per esempio agli elettori in stati come il Michigan. Nel dibattito si capirà come Harris cercherà di non offendere l’anima ambientalista del suo partito senza lasciare tutto il campo libero a Trump sull’energia tradizionale che ancora gioca un ruolo essenziale per l’economia USA. Prevediamo che su questo tema Trump, almeno in certi stati, dovrebbe riuscire ad avvantaggiarsi.
5) Guerre (Gaza, Ucraina e WWIII). Ecco che qui Trump potrebbe raggiungere una tripletta vincente contro Harris. Da tempo l’ex-presidente ripete che con lui non scoppiarono nuove guerre mentre con Biden si rischia “la fine del mondo”. Soprattutto batterà il chiodo sull’Ucraina, ripetendo che Putin non si sarebbe mai azzardato di invaderla e che comunque quando lui tornerà alla Casa Bianca saprà come far terminare il conflitto in pochi giorni (non ha mai spiegato ancora come, almeno senza lasciare territorio conquistato dai russi calpestando il diritto internazionale). Sulla guerra tra Hamas e Israele a Gaza, l’ex presidente dirà che con lui non sarebbe accaduta o durata così a lungo ma qui Trump – primo presidente in assoluto a spostare l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme riconoscendola capitale a dispetto delle risoluzioni ONU – non cercherà di essere “balance” ma semmai cercherà di ulteriormente spostare i voti degli ebrei-americani – tradizionalmente democratici – verso di lui. Invece ad Harris toccherà l’arduo compito di non screditare la politica dell’amministrazione Biden cercando allo stesso tempo di indicare una nuova strategia USA rispetto ai conflitti in Europa orientale e Medio Oriente. Mentre sull’Ucraina, almeno con gli elettori che vogliono votarla, non rischia molto su quello che dirà, invece su Gaza rischia tutto con i giovani, soprattutto quelli che protestano nei campus universitari. Sulle parole che dirà rispetto al “genocidio” dei palestinesi a Gaza e come imporre “adesso” il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi a Israele e Hamas. Se sbaglia il tono, inoltre, il mancato voto di molti dei 250 mila cittadini di religione musulmana che risiedono in Michigan potrebbero risultarle fatali (come anche quello dei 150 mila musulmani che risiedono in Pennsylvania). Però, sulle accuse di Trump di voler portare gli USA alla Terza Guerra Mondiale, Harris potrà replicare che con Trump si rischia l”appeseament’ e lasciare il mondo schiavo dell’egemonia e i pericoli portati dai dittatori alla Putin, che infatti lo vogliono alla Casa Bianca e tramano sulle elezioni americane. Su questi temi, Trump resta favorito ma Harris potrebbe anche pareggiare.
6) Giustizia e pericoli per la Democrazia. Qui Harris si gioca, insieme al tema sull’aborto, la possibilità di mettere all’angolo l’avversario e lasciarlo al tappeto. Non tanto per quella famosa risposta di Trump del “sarò dittatore per un giorno”, ma più per il suo ruolo nell’assalto al Congresso del 6 gennaio, 2021. Il processo federale, dopo l’intervento della Corte Suprema, continua a slittare e ormai in pochi credono che verrà mai celebrato in tempo o persino dopo le elezioni. Ma Harris sicuramente durante il dibattito ricorderà a milioni di americani il comportamento avuto da Trump quel giorno. Solo un processo potrebbe provare la “premeditazione” e “complicità” di Trump all’azione criminale degli assalitori, ma nel dibattito televisivo Harris potrebbe tentare di far emergere la totale inadeguatezza dell’allora presidente Trump nel rispondere alla situazione in cui in poche ore le istituzioni democratiche degli USA corsero il più grande pericolo in 250 anni di storia (persino l’allora vice presidente Mike Pence rischiò di essere linciato mentre la folla entrava al grido di impicchiamolo!). Non potrà provare in pochi minuti l’accusa a Trump di aver tradito la costituzione e la democrazia, ma Harris potrebbe agevolmente confermare in molti americani la convinzione che come presidente, Trump non sarebbe in grado (o non gli importa?) di difendere la Costituzione e i valori della democrazia americana. Come Trump si difenderà? Ripetendo solo la teoria delle “elezioni truccate” nel 2020 rassicurerà i suoi MAGA sfegatati, ma non convincerà quei pochi ma indispensabili indipendenti ancora rimasti e che non hanno ancora scelto e di cui lui ha assolutamente bisogno per vincere. Vedremo se i suoi strateghi hanno una risposta migliore e se il Tycoon li ascolterà. Su questo tema Harris ha la vittoria in pugno, martedì vedremo se saprà approfittarne.
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(ITALPRESS).