Un anno di DAD, solo per 3 italiani su 10 un’esperienza positiva

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ROMA (ITALPRESS) – Ad un anno dall’esordio della didattica a distanza, resta in chiaroscuro il giudizio degli italiani sul suo funzionamento: appena 3 su 10 la valutano positivamente. E’ quanto emerge dall’indagine “La DAD un anno dopo secondo gli italiani”, presentata oggi e curata dall’Istituto Demopolis per l’impresa sociale Con i Bambini, nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile.
Fra i genitori di figli in età scolare, il dato del giudizio positivo cresce al 34%, e raggiunge il 48% fra gli insegnanti. Pur essendo riconosciuta oggi una migliore organizzazione rispetto alla fase emergenziale, un problema – sociale ancora prima che scolastico – grava più di altri sul bilancio della didattica a distanza: per il 51% dei genitori italiani, a 12 mesi di distanza, in DAD non è ancora garantito un accesso adeguato a tutti gli studenti.
Dal 15 marzo, con oltre la metà delle regioni italiane in rosso e la chiusura di tutti gli istituti di ogni ordine e grado, oltre 7 milioni di studenti sono rimasti a casa proseguendo la scuola con la didattica a distanza. Ma già prima, circa 5,7 milioni di ragazzi e ragazze erano in DAD. Il sondaggio, condotto su un campione demoscopico di 2004 intervistati, ha analizzato, accanto alla popolazione italiana nel suo complesso, anche alcuni target significativi con rilevazioni mirate su campioni di genitori con figli minorenni, insegnanti, rappresentanti del Terzo Settore.
I genitori italiani rilevano come la DAD si sia effettivamente meglio strutturata dopo la fase emergenziale (67%) ed abbia prodotto maggiore autonomia nell’uso delle tecnologie da parte dei ragazzi (57%). La durata delle sessioni non soddisfa ancora la maggioranza: per uno su due, l’orario scolastico completo resta un obiettivo irrealizzato. Nella valutazione di chi ha figli in età scolare, le criticità della DAD, dopo un anno di operatività, restano la distrazione degli studenti durante le lezioni (73%), ma anche la complessa situazione emotiva dei ragazzi (63%) e la scarsa dotazione tecnologica delle case (51%), limite segnalato con maggiore evidenza dagli insegnanti (68%). Si differenziano, genitori ed insegnanti, anche nella valutazione dei carichi di lavoro: eccessivo è stato l’impegno richiesto alle famiglie secondo il 39% dei genitori; il dato cresce al 61% tra chi ha i figli alle Elementari. Inoltre, per il 31% dei genitori l’orario scolastico è troppo ridotto: sul tema concorda appena il 15% degli insegnanti. Malgrado i mesi di riorganizzazione ed i fondi a disposizione per i dispositivi, il 16% di ragazzi si collega ancora oggi da smartphone. Il 41% dei genitori intervistati confessa di aver avuto difficoltà a supportare i figli in DAD proprio per connessioni o dispositivi insufficienti in casa.
Tre su 10 segnalano la difficile conciliazione dei tempi lavorativi con le dinamiche della didattica a distanza. Circa un quinto segnala di non essere stato in grado personalmente di supportare i figli nell’attività didattica. “L’indagine – spiega il direttore dell’Istituto Demopolis Pietro Vento – conferma il costo sociale ed evolutivo imposto dall’emergenza e dalla chiusura prolungata delle scuole su bambini e ragazzi, con effetti consistenti sull’incremento delle disuguaglianze e della povertà educativa tra i minori nel nostro Paese. Nell’anno del Covid, un vastissimo orizzonte di normalità relazionale, di dinamiche sociali, di occasioni di apprendimento è stato precluso ai minori. L’83% dei genitori testimonia come l’aspetto maggiormente negativo nella didattica a distanza, per bambini e ragazzi, sia stata l’assenza di relazioni con i compagni”. Per il 65% la fatica nel seguire le lezioni in remoto si è rivelata una grave ipoteca sulla quotidianità. 6 genitori su 10 segnalano oggi la tendenza dei figli all’isolamento e all’abbandono della vita sociale; il 55% ricorda il danno della riduzione degli stimoli esterni alla scuola.
In questo contesto riscuote pieno successo la proposta del ministro dell’Istruzione Bianchi di aprire le scuole in estate, con la programmazione di attività destinate a bambini e ragazzi. Oggi, il 70% degli italiani, intervistati da Demopolis per l’impresa sociale Con i Bambini, condivide l’ipotesi di tenere aperte le scuole sino alla fine del mese di luglio per organizzare attività educative, gratuite e non obbligatorie, di laboratorio e di socializzazione anche all’esterno (teatro, musica, sport, lingue, visite, ecc.) per ragazzi e bambini, con il coinvolgimento di educatori ed operatori specializzati di associazioni ed enti del Terzo Settore, in vista di un ritorno alla normalità in settembre. L’idea piace ai genitori, più al Nord (75%) che al Sud (61%). Bisognerebbe puntare, secondo gli italiani, a restituire ai minori l’accesso alla pratica sportiva (58%), progettare recuperi curriculari (54%), promuovere attività ludiche (53%) e progressi nelle lingue straniere (51%), favorire la riscoperta delle città e della natura.
Si tratterebbe di aprire le scuole alla comunità ed ai territori, rammentando che la scuola non può essere l’unica istituzione deputata alla crescita dei ragazzi. Si tratta del resto di una nuova consapevolezza che si afferma in seno all’opinione pubblica: oggi, per il 71% degli italiani la responsabilità della crescita dei minori è di tutta la comunità.
“Questo è un aspetto che ci è molto caro – ha detto Carlo Borgomeo, presidente di Fondazione Con il Sud e Con i Bambini -: il nostro obiettivo è quello di mostrare, attraverso l’esperienza che la questione dell’educazione dei giovani non può essere scaricata solo sulla scuola, noi infatti parliamo sempre di comunità educante. Questo sondaggio conferma che c’è un trend positivo. Nel 2019 per il 46% degli italiani, la questione dell’educazione dei giovani era da considerarsi responsabilità della comunità, lo scorso novembre il dato è cresciuto al 67%, per attestarsi oggi al 71%”.
“Tutto il nostro lavoro è orientato in questo senso – ha aggiunto Borgomeo -. Da ultima, la pubblicazione di un Bando per la promozione di Comunità Educanti che ha lo scopo di mostrare al Paese, all’opinione pubblica e quindi alla politica e alle istituzioni che la grande questione della lotta alla povertà educativa, dell’educazione dei giovani riguarda tutti, cioè la comunità”.
(ITALPRESS).

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