ROMA (ITALPRESS) – Che fine ha fatto la proposta di Mario Draghi per il rilancio della competitività europea? Il valore della proposta non è stato negato dai governi dei paesi aderenti alla UE, ma sembra che la loro preoccupazione sia più rivolta a non compromettere gli equilibri dei loro poteri nazionali piuttosto che a risollevare le loro economie. Infatti, nelle loro priorità non c’è ancora la consapevolezza delle nuove egemonie politico-economiche che minacciano il vecchio continente.
Il rapporto di Draghi, voluto dalla Commissione europea, affronta le sfide che l’industria e le aziende del Mercato Unico devono considerare nei loro programmi di consolidamento. Questo rapporto contribuirà al lavoro della Commissione su un nuovo piano per la prosperità sostenibile e la competitività dell’Europa. Sottolinea l’importanza di investimenti mirati nelle regioni meno sviluppate per migliorare infrastrutture, istruzione e capacità tecnologiche, con l’obiettivo di creare un’economia più inclusiva.
Inoltre, il piano evidenzia la necessità di affrontare le sfide demografiche, come l’invecchiamento della popolazione e la riduzione della forza lavoro, attraverso politiche che supportino tassi di natalità più elevati e attraggano immigrati qualificati. Insomma, una proposta che tende a riportare i popoli europei al realismo che da tempo sembra smarrito.
Nei prossimi mesi si prospetta una nuova guerra dei dazi ancora più accesa del passato; i paesi concorrenti investono nelle nuove tecnologie digitali e nell’intelligenza artificiale, perfezionano i loro piani energetici, varano programmi massicci a sostegno dell’educazione per migliorare cultura e competenze del capitale umano. Chi non ha già un equilibrio demografico sufficiente, lo programma per ottenere manodopera qualificata; si occupano intensivamente di innovazione e ricerca in quest’epoca di cambiamenti tecnologici; sono attenti a non aumentare i carichi fiscali e a frenare il debito pubblico.
Si può dire che le classi dirigenti europee si cullano ancora sulle vecchie certezze, ignare del rischio ormai altissimo del loro declino, qualora non si dovesse intraprendere un nuovo cammino verso la competitività dei propri sistemi industriali e servizi. Tali auspici dovrebbero essere moltiplicati per tre per l’Italia. Tant’è che, pur avendo la demografia più preoccupante dell’Europa, non si investe per le famiglie se non con qualche bonus precario. I nostri giovani laureati, sia del sud che del nord, scappano in paesi più generosi di salario e più meritocratici. Un eventuale e necessario piano di immigrazione di manodopera specializzata viene sostituito da un insensato dissidio tra chi è contrario e chi è favorevole all’immigrazione, a prescindere da ciò che ci occorre. La scuola, l’università e la ricerca sono in gran parte lontane dagli obiettivi che un paese evoluto e trasformatore necessita. Energia, infrastrutture materiali e immateriali si gestiscono alla giornata.
E allora, per la classe dirigente del nostro paese è giunto il tempo della consapevolezza e della responsabilità. Ma anche i nostri cittadini dovrebbero probabilmente tornare più costantemente all’impegno civico.
– foto: Agenzia Fotogramma –
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