di Raffaele Bonanni
L’eco dei dazi “XXXL” annunciati da Trump contro la Cina si propaga come un tuono anche sopra la testa dei paesi alleati, minacciati da un ultimatum a 90 giorni. Eppure, il suo pugno di ferro si scontra già con una realtà ben più complessa: le tensioni nei mercati finanziari, la prospettiva di controdazi, lo scetticismo crescente persino all’interno del Partito Repubblicano, e una popolarità interna che mostra segni evidenti di cedimento. Gli economisti, dentro e fuori dai confini americani, cominciano a sollevare critiche sempre più esplicite. Del resto, non si è mai visto – né teorizzato – che la prima potenza commerciale al mondo agisca per depotenziare sé stessa. Una politica simile innesca inflazione interna, obbliga ad alzare i tassi d’interesse per contenerla, frena gli investimenti, alimenta disoccupazione e rischia di precipitare l’economia in recessione. Ma c’è di più. A lungo termine, l’offensiva commerciale potrebbe minare uno dei pilastri della supremazia americana: il dollaro come valuta di scambio globale. I paesi colpiti dai dazi, spinti a reagire, potrebbero accelerare accordi alternativi, esplorare l’uso di altre monete e riscrivere le regole del commercio internazionale. Uno scenario non più remoto, ma sempre più credibile. A meno che, si dirà, non sia tutto teatro. Una sceneggiata dai toni roboanti, destinata a chiudersi con un inasprimento dei dazi unicamente verso Pechino. Ma anche in questa ipotesi, lo scontro diretto con il dragone cinese rischia di raffreddare l’economia globale. Le merci cinesi respinte dagli Stati Uniti cercheranno sfogo altrove, riversandosi sui mercati europei e asiatici, accentuando squilibri e tensioni. Nel frattempo, rimane aperta la frattura diplomatica con i partner storici, colpiti da epiteti e minacce, mentre il Cremlino sembra ricevere un’accoglienza da figliol prodigo. Un’ambiguità che pesa. In questo contesto, la premier Giorgia Meloni – seguendo i passi di Macron e Starmer – farebbe bene a incontrare l’ex tycoon. Con franchezza, potrà ricordargli che le scorciatoie commerciali e gli scossoni sistemici finiscono per avvantaggiare solo i regimi autocratici, pronti a cavalcare ogni vuoto di leadership. E che, se è necessario chiarire regole e rapporti, ciò avvenga nel rispetto delle convenzioni internazionali e non con linguaggi da “paesi canaglia”. Meloni gli ricordi che finché l’Occidente saprà rappresentare i valori delle libertà liberali, potrà ancora esercitare un ruolo guida. Altrimenti, rischia di soccombere, abbandonando il campo a chi – senza alcun riguardo per la libertà – costruisce il proprio potere sul dominio e sulla paura, dentro casa e, sempre più spesso, anche fuori.
(ITALPRESS).