TOSCANA, AL CLIMATOLOGO MARACCHI IL PEGASO D’ORO ALLA MEMORIA

Grande scienziato, assertore dei cambiamenti climatici di cui ha iniziato ad occuparsi trenta anni fa quando il tema non era ancora nell’agenda di molti. Ma anche gran divulgatore, capace di spiegare con parole semplici fenomeni molto complessi. Questo era il climatologo Giampiero Maracchi,  onorato alla memoria nella Sala Pegaso di Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze con il conferimento della medaglia d’oro Pegaso da parte della giunta regionale, un riconoscimento già attribuito negli anni a Franco Scaramuzzi, Giacomo Tachis, Enzo Catarsi ma anche al Comando regionale del Corpo forestale dello Stato, ai Vigili del fuoco, all’Esercito italiano e alla Legione Carabinieri Toscana.

Sempre disponibile verso le istituzioni
Ci hanno pensato Antonio Raschi, Simone Orlandini e Bernardo Gozzini, tutti suoi allievi o collaboratori, a ricordare l’uomo e lo studioso, scomparso all’improvviso il marzo scorso all’età di 75 anni. Un ritratto a tutto tondo. “Un tributo dovuto non solo per i suoi studi ma anche per la grande disponibilità sempre dimostrata verso le istituzioni” sottolinea il presidente della Toscana Enrico Rossi, in sala Pegaso con l’assessore all’agricoltura Remaschi. “Una persona rara, quanto a intelligenza e genialità – aggiunge il presidente –: sempre pronto nei confronti della Regione, ma senza che da quell’offerta ripetuta di un contributo alle soluzione dei problemi dei cambiamenti climatici mai sia scaturita una richiesta di un incarico”. 

Uno scienziato che sapeva parlare alla gente
Maracchi, con la sua barbetta sbarazzina, fiorentino appassionato, era per molti (e rimarrà tale) “l’uomo del tempo”, quello che sugli schermi del Tg3 regionale parlava il sabato del clima mettendo a confronto la visione scientifica con gli antichi detti contadini,  i quali, ricordava senza fare presuntuoso, nascono sempre  da annotazioni empiriche esatte. “Se fosse vissuto trenta o quaranta anni più tardi sarebbe stato un blogger di successo” scherza Tommaso, uno dei tre figli, che stamani ha ritirato il premio. Ed è così.

Maracchi raccontava il clima in mutamento in modo semplice. L’ha fatto anche nell’ebook “E’ tutto un altro clima” realizzato nel 2012 da Toscana Notizie, l’agenzia di informazione della giunta regionale. Credeva, dice Antonio Raschi, nella “ricerca applicata non fine a stessa ma portata al pubblico”.  Dell’interdisciplinarità e della lettura di dati raccolti da più fonti faceva il suo metodo di lavoro, applicato nel 1990 ai cambiamenti climatici e apprezzato anche all’estero come un avanzamento deciso verso il futuro.

L’alluvione e il Lamma
I suoi primi passi li aveva mossi alla facoltà di agraria, dove nel 1968 si è laureato con una tesi sulle concimazioni e poi, dal 1973, ha iniziato ad insegnare proprio climatologia. Nel 1980 ha promosso la nascita dello Iata, embrione del futuro istituto di biometeorologia che conta oggi sedi a Firenze, Bologna, Sassari e Roma. La prima casa dello Iata è stata presso l’Osservatorio di Arcetri. Poi è arrivata l’alluvione della Garfagnana del 19 giugno 1996: 4500 sfollati, quattordici morti. Fu una “bomba d’acqua”, un neologismo per il tempo che Maracchi contribuì a coniare. Quell’alluvione nessuno l’aveva prevista e l’anno dopo, nel 1997, su impulso e da un’idea ancora di Maracchi, nasce il Lamma, il corsorzio metà Regione e metà Cnr a cui ancora oggi sono affidate le previsioni del tempo. “Si trattava di quel complicato ultimo miglio che porta la ricerca ad occuparsi e a misurarsi con problemi di tutti i giorni” spiega Gozzini, direttore oggi del laboratorio.  

Le giacche all’inglese e le scarpe ‘fai da te’
Fin qui lo studioso: con il coraggio delle proprie idee, la passione per il saper fare, l’abilità nel coinvolgere gli attori del territorio. Ma nella cerimonia asciutta di stamani a Palazzo Strozzi Sacrati c’è stato tempo anche per ricordare l’uomo: il suo umorismo, la mania per quelle giacche all’inglese “che   indossava sempre e comunque – ricorda Simone Orlandini – , anche quando fuori il freddo e il vento consigliavano magari un giubotto”, la sua abitudine ad andare a letto presto la sera e svegliarsi altrettanto presto la mattina, alle sette già in ufficio. 

Scrutava il cielo ogni giorno, ma era anche un appassionato di artigianato. Fabbricava i mobili in casa sua, produceva oggetti in ferro battuto e realizzava da sé pure le scarpe che portava ai piedi. Uno scienziato in tutto e per tutto, insomma, ben ancorato a terra.

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