MILANO (ITALPRESS) -Parare i colpi della vita, oltre ai tiri degli attaccanti. Stefano Tacconi sa bene cosa significa, a quasi tre anni dall’aneurisma che lo ha colpito nell’aprile 2022. “Fare l’atleta mi ha aiutato tantissimo, il fisico era pronto per qualsiasi cosa”, ha raccontato il mitico portiere della Juventus e della nazionale durante “Primo Piano”, la rubrica dell’agenzia di stampa Italpress condotta da Claudio Brachino.
Della malattia Tacconi parla nel suo libro “L’arte di parare”. Una metafora della vita. Il primo tempo è quello legato ai ricordi del calcio giocato, il secondo lo ha vissuto dopo la malattia. “Avere la famiglia accanto è la medicina migliore, non vedevo l’ora di lasciare l’ospedale e tornare a casa. Un paziente guarisce molto più facilmente”, ha raccontato Tacconi che si è poi soffermato su quel drammatico giorno del 22 aprile: “Avevo un mal di testa fortissimo dal mattino, ma dovevo partecipare ad un evento benefico. Sono andato e sono crollato a terra. Fortunatamente mio figlio sapeva come comportarsi con le operazioni di primo soccorso. È stato molto bravo e ha avuto una grande forza, ma per lui è stato un grande spavento”, le sue parole. Da lì comincia una nuova fase. I tempi supplementari, cioè la fisioterapia.
“Quando butterò via la stampella forse sarà come parare un rigore”. Il mondo del calcio gli è stato vicino: “Mio figlio ha ricevuto tantissime chiamate. Anche Vialli e Schillaci avevano fatto un videomessaggio per me. Sono due messaggi che tengo nel cuore”. Tra progetti futuri (“Vorrei aprire un ristorante”) e ricordi del passato (“Alla Juve c’era l’obbligo di vincere sempre”), emerge anche un commento sul calcio di oggi: “Mi annoia e non mi piace. Partono tutti dal portiere e nessuno tira in porta. Portieri? Mi piace Carnesecchi, potrebbe essere il mio erede. Mi assomiglia e sta parando bene e ha la fortuna di giocare in una squadra in forma come l’Atalanta”.
– Foto estratto ‘Primo Piano’ –
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