ROMA (ITALPRESS) – In Italia gli inceneritori e i termovalorizzatori diminuiscono, aumentando un gap che di conseguenza eleva il costo dell’attività industriale, oltre a un danno ambientale empiricamente dimostrato. Erano 38, sono scesi a 37 con regioni come la Toscana, che li hanno dimezzati, e ora “esportano” i loro rifiuti nelle altre parti d’Italia o addirittura all’estero. Dove invece questa tecnologia cresce, si evolve e riduce a zero il suo impatto ambientale e sulla salute dei cittadini. E’ quanto emerso dal webinar di presentazione del “Libro bianco sull’incenerimento dei rifiuti urbani”, uno studio realizzato per conto di Utilitalia dai Politecnici di Milano e di Torino e dalle Università di Trento e di Roma 3 Tor Vergata.
“La raccolta differenziata da sola non basta, serve uno sbocco. La gestione rifiuti non è una singola fase, ma sia una serie di fasi complementari”, ha sottolineato Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia.
“Dalla raccolta al trattamento ai rifiuti non riciclabili. Un approccio globale, che deve far ragionare, su cui è difficile trovare l’attenzione dei decisori, senza dimenticare alcune strumentalizzazioni avvenute contro gli inceneritori, che invece sono indispensabili per chiudere il ciclo dei rifiuti. Inceneritori e termovalorizzatori non sono tecnologie vecchie e in Europa nuovi impianti si continuano a costruire e aggiornare – ha aggiunto – anche perchè questa tecnologia si è molto evoluta nel corso degli anni, soprattutto dalla fine degli anni ’90 in poi. E’ una tecnologia sicura e molto controllata. Su questo tema serve una profonda riflessione”.
I numeri del libro bianco sono inappellabili. Se in Italia sono ancora attivi solo 37 inceneritori, in Germania se ne trovano 96 e in Francia addirittura 126. Fatte le dovute proporzioni, se l’Italia si avvicinasse ai livelli d’Oltralpe si potrebbe soddisfare il fabbisogno energetico di quasi 9 milioni di famiglie.
Energia rinnovabile al 51%, tanto che in termini di emissioni climalteranti, la discarica ha un impatto 8 volte superiore a quello del recupero energetico negli inceneritori. Forse di questi numeri, l’Ue ha imposto che entro il 2035 solo il 10% dei rifiuti potrà essere trattato in discarica, oggi l’Italia viaggia al 20%. Un maggiore ricorso a inceneritori e termovalorizzatori, inoltre, non incide sulla qualità dell’aria: oggi infatti determinano appena lo 0,03% delle PM10, contro il 53,8% delle combustioni commerciali e residenziali. Per gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) è pari allo 0.007% (contro il 78,1% delle combustioni residenziali e commerciali) e per le diossine e i furani si attesta allo 0,2% (contro il 37,5% delle combustioni residenziali e commerciali). L’85% delle ceneri pesanti prodotte dalla combustione degli inceneritori, inoltre, sono ormai interamente avviate a processi di riciclaggio. Inoltre, gli inceneritori non si possono considerare fattori di rischio di cancro o di effetti negativi sulla riproduzione o sullo sviluppo.
Per gli impianti rispondenti alle Best available techniques (Bat), sono di molti ordini di grandezza inferiori rispetto a quelli di impianti operanti in territori in cui studi epidemiologici condotti hanno individuato associazioni negative in termini di salute. “Nel nostro Paese, soprattutto al Centro e al Sud, si registra una carenza impiantistica e se non si inverte questa tendenza, continueremo a ricorrere in maniera eccessiva allo smaltimento in discarica – ha spiegato Brandolini – Se non si pianifica e si realizza un sistema infrastrutturale nazionale che tenda all’autosufficienza nella gestione dei rifiuti, il nostro Paese resta esposto a periodiche situazioni di crisi. I dati sulla gestione dei rifiuti dimostrano che anche la raccolta differenziata e gli impianti non sono due elementi contrapposti, anzi: i territori che registrano le percentuali più alte di raccolta differenziata, non a caso, sono proprio quelli in cui è presente il maggior numero di impianti”, ha concluso.
(ITALPRESS).
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