Trent’anni fa la strage di Capaci

FALCONE GIOVANNI ( - 1998-10-10, Lannino / GIACOMINOFOTO) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate (FOTO REPERTORIO - 2022-05-23, Lannino / GIACOMINOFOTO) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

PALERMO (ITALPRESS) – Da ormai trent’anni il cinquantottesimo minuto dopo le 17 del 23 maggio non rappresenta mai un orario comune, uno di quelli che passano inosservati nel trambusto quotidiano. È invece, ogni anno, quel minuto che blocca il fiato, sospende i pensieri, dilata il tempo, infligge dolore e, alla fine, se ci si guarda attorno, restituisce speranza. Sono quei secondi che riportano alla mente le forti immagini di quanto accaduto alla stessa ora nel 1992: la strage di Capaci, quel tragico evento che ha cambiato la storia del Paese. E non solo. Partiti dall’aeroporto di Roma Ciampino intorno alle 16.45, il magistrato antimafia Giovanni Falcone, direttore degli Affari Penali del ministero della Giustizia, e la moglie Francesca Morvillo atterrano a Punta Raisi dopo un volo di 53 minuti. Li attendono 3 auto blindate. Falcone si mette alla guida di una Croma bianca. In macchina con lui oltre alla moglie c’è l’autista Giuseppe Costanza. L’auto di Falcone è preceduta da una Croma marrone, con a bordo gli agenti Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, ed è seguita da una Croma azzurra con gli agenti Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Le auto si dirigono verso Palermo sull’autostrada A29. Alle 17:58, poco prima dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine viene azionato il telecomando che fa esplodere una carica composta da 500 chili di tritolo, RDX e nitrato d’ammonio. Lo scoppio travolge in pieno la Croma marrone. I tre agenti Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, muoiono sul colpo. L’auto di Falcone si schianta contro il muro di cemento e detriti generato dallo scoppio. Il giudice muore durante il trasporto in ospedale, la moglie Francesca invece in ospedale la sera, intorno alle 22. Rimangono feriti gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo e Gaspare Cervello oltre all’autista Costanza e ad altre 19 persone che viaggiavano in quel momento sull’autostrada. Dopo meno di due mesi, il 19 luglio dello stesso anno, in via d’Amelio a Palermo un altro attentato di Cosa Nostra uccide anche Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Sono passati solo cinquantasette giorni tra le due stragi che hanno messo fine alla vita di due magistrati in prima linea nella lotta alla mafia. Sono stati uccisi, però le loro idee restano. “L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa”, diceva Falcone. “Ecco – aggiungeva -, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza”. Parole di chi, divenuto simbolo della lotta alla mafia, proprio con coraggio e intuizione ha cambiato la storia, riuscendo a riconoscere la struttura verticistica di Cosa Nostra. Con il pool antimafia ha creato un nuovo metodo investigativo che si basa su indagini patrimoniali e bancarie, alla ricerca di prove e sulla scia delle tracce lasciate dal denaro. Lo stesso pool che ha istruito il maxi-processo a Cosa nostra, mandando a giudizio 475 imputati. Un processo di vaste dimensioni, partito nel 1986 e che ha visto la partecipazione di 200 avvocati e diverse centinaia di giornalisti. Per un evento di tale portata, nessuna aula di tribunale a Palermo poteva bastare, occorreva più spazio: così si è deciso di costruire una grande aula bunker accanto al carcere Ucciardone, dotata anche di sistemi di protezione.  Negli anni la mafia aveva ucciso magistrati, investigatori, appartenenti alle forze dell’ordine, giornalisti, politici, si era diffusa e soffocava l’economia. Il maxiprocesso era la risposta dello Stato. Poi le stragi del 1992. Le idee di chi è stato ucciso, però, erano come semi: il sacrificio di chi ha perso la vita per la legalità, infatti, ha spinto la società civile a reagire. Una rivoluzione culturale. “È normale che esista la paura”, affermava Borsellino. “L’importante è che sia accompagnata dal coraggio”, aggiungeva. Il 23 maggio, quindi, è ormai una data simbolo: ogni anno quei tragici eventi vengono ricordati con cerimonie, manifestazioni, incontri e cortei, anche e soprattutto con il coinvolgimento di giovani studenti. L’obiettivo è mantenere viva la memoria, rinnovare l’impegno della legalità e non perdere la speranza perché la mafia, come diceva Falcone, “non è affatto invincibile”. “È un fatto umano – spiegava il magistrato – e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine”.

foto: agenziafotogramma.it

(ITALPRESS).

 

Vuoi pubblicare i contenuti di Italpress.com sul tuo sito web o vuoi promuovere la tua attività sul nostro sito e su quelli delle testate nostre partner? Contattaci all'indirizzo [email protected]