Gol di Acerbi, il cattivo diventato santo, e di Thuram, il Figlio talentuoso. L’Inter ha vinto il derby e il ventesimo scudetto. E ha colto la sua Seconda Stella. Storica vittoria dei bauscia, drammatica sconfitta dei casciavid nella Casa comune, l’immutabile San Siro che da ieri ospita 39 scudetti in comune e il Milan a sua volta in attesa della Seconda Stella. Io, antico fortunato cronista – o Testimone del Tempo, come diceva il mio direttore Enzo Biagi – ho raccontato anche la Prima dei nerazzurri. Quella era la Grande Inter di Angelo Moratti, Helenio Herrera, Italo Allodi, Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suarez, Corso. La filastrocca della Beneamata, la cantò Gianni Brera. Io la mormorai. Indimenticabile.
Ma sarà ricordata nel tempo anche l’Inter di Steven Zhang, Simone Inzaghi e Giuseppe Marotta. Già farete caso ai Magnifici Tre delle due Stelle, l’origine del successo, club compatti, dirigenti capaci, campioni solidali. Tifosi straordinari, meno causidici dei milanisti che guarda caso hanno ferito Pioli e consegnato trofei e gloria alla tradizionale nemica proprio nel momento in cui hanno perduto la bussola: lo scudetto, la Champions, l’Europa League. L’aria che tira fa parlare di beffa, ma l’Inter, questa Inter, bada più al suo trionfo che al castigo degli avversari. Non c’è più Peppino Prisco che diceva “sono vecchio, voglio diventare milanista, così quando morirò loro avranno un tifoso in meno”.
E’ l’Inter di Zhang, ma la Stella è anche di Massimo Moratti , il leader nerazzurro più vincente, con 16 trofei conquistati dal 1998 al 2011 (di cui 11 da presidente): 5 campionati italiani, 4 Coppe Italia, 4 Supercoppe italiane, una Coppa UEFA, una Champions League e un Mondiale per club.
Tecnicamente, è anche questa un’Inter italianissima, dico tatticamente. Perchè la Grande aveva solo due-tre stranieri – Jair, Suarez, Peirò – e la filastrocca era facile. Questa è più uno scioglilingua: Sommer, Pavard, Acerbi, Bastoni, Darmian, Barella, Calhanoglu, Mkhitarian, Dimarco, Thuram e Lautaro Martinez. Il bomber. Cinquantotto anni fa c’era Aurelio Milani, un ragazzo modesto, antidivo, patì un infortunio, sparì.
La Prima Stella che raccontai – spesso seduto a San Siro accanto al Gioànnbrerafucarlo – era nata alla fine del campionato 1965/1966, decimo scudetto. Replicava il successo della stagione precedente, alla fine del girone d’andata precedeva Milan, Napoli e Juventus. Vinse con una giornata di anticipo, a 50 punti, settanta gol segnati. Catenaccio e contropiede – come presto aveva capito il Mago, e non era il primo a dire “vincere è l’unica cosa che conta”, mentre i qualunquisti della scuola napoletana anticipavano i giochisti di oggi, ma si chiamavano Gino Palumbo e Totò Ghirelli. E non c’erano gli opinionisti. Contropiede ieri, un pullman sulla porta con Mourinho, e così nacque il Triplete che ha dato il suo contributo alla Bistella.
Inzaghi non è un Mago, e neppure uno Specialone, quando è arrivato a Milano i cosiddetti buongustai hanno subito criticato il pranzo che Simone offriva a San Siro. Ma si sono ricreduti in fretta e hanno prima gradito eppoi applaudito la sua capacità di esprimere il miglior risultato possibile: una squadra compatta, serena. Quella che si dice una famiglia, come piaceva a Angelo Moratti. Così scudetto e Stella sono suoi. Conquistati a San Siro alla faccia del Milan cui è mancato semplicemente un Pippo Inzaghi. Altro che Leao.
Storica vittoria dei Bauscia, il derby vale la seconda stella Inter
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