“Sottosopra: Abitare Collaborativo” è un progetto che si sviluppa nel quartiere di San Berillo, nel cuore del centro storico catanese, che da decenni vive problemi legati all’abbandono degli immobili e la conseguente diffusione dell’abitare informale da parte di popolazione a rischio esclusione. Il progetto si pone l’obiettivo di contrastare la povertà abitativa e relazionale proponendo un modello innovativo di abitare volto a rendere le persone consapevoli e attive nella creazione del proprio contesto abitativo.
E’ reso possibile dal lavoro in partnership da parte di attori dell’associazionismo che a vario titolo sono coinvolti nell’abito dell’inclusione sociale di soggetti svantaggiati; è sostenuto dalla Fondazione con il Sud nell’ambito del primo Bando Social Housing pubblicato nel 2018.
Sottosopra – abitare collaborativo: già il nome aiuta a comprendere gli obiettivi del progetto. Ne parliamo con Andrea D’Urso responsabile della comunicazione del progetto per Oxfam Italia Intercultura.
Chi sono i promotori del progetto?
“Oxfam Italia Intercultura, cooperativa sociale da anni impegnata in Italia nella promozione dell’interculturalità, ha accettato di coordinare la proposta, anche sulla base della propria esperienza nella gestione di progetti complessi. I partner di progetto sono l’Associazione Trame di Quartiere il cui lavoro di promozione comunitaria e rigenerazione urbana nel quartiere San Berillo è di fondamentale importanza per la riuscita del progetto; la Diaconia Valdese con le attività di orientamento e inclusione lavorativa, il SUNIA attivo nella facilitazione dell’accesso alla casa; Impact Hub che garantisce un prezioso lavoro di monitoraggio e valutazione interna al progetto; il Comune di Catania, attraverso l’assessorato alle politiche sociali e l’Agenzia per la casa che contribuirà all’individuazione di una soluzione abitativa stabile per i beneficiari del progetto. Da ultimo si è aggiunta alla partnership la Cooperativa di Comunità Trame di Quartiere che avrà il fondamentale ruolo di gestire il co-housing e garantire l’implementazione dell”abitare attivo’ dei beneficiari e della gestione della caffetteria sociale che sarà attivata”.
Si tratta di un progetto sociale ambizioso che intende contribuire all’apertura del quartiere alla città ed anche della città al quartiere di san Berillo. Come mai avete scelto questo quartiere? Da chi è attualmente abitato?
“Alcuni soggetti della partnership e in particolare Trame di Quartiere lavorano a San Berillo da quasi 10 anni. È un quartiere che offre alcune peculiarità ma allo stesso tempo è lo specchio di come molte aree urbane periferiche ma geograficamente centrali vivano una condizione di marginalità strutturale dal punto di vista socio-economico. San Berillo in più, ha vissuto il trauma dello sventramento tra il 1950 e il 1960, quando fu in buona parte raso al suolo e ricostruito, causando lo spostamento forzato di circa 30 mila persone. L’area non toccata dallo sventramento ha subito gradualmente un processo di spopolamento e l’abbandono dei palazzi un tempo pieni di vita. Oggi San Berillo rappresenta la ‘città rifugio’ per coloro i quali non trovano posto in altre aree della città. Attualmente è abitata da sex workers, una presenza storica dovuta alla vicinanza con il porto, da famiglie senegalesi che lavorano prevalentemente nel vicino mercato cittadino la Fiera, migranti di origine subsahariana di più recente arrivo, che forse vivono la condizione di maggiore difficoltà poichè occupano gli immobili abbandonati”.
Tanti di loro non hanno neppure la residenza. Che cosa significa non esserne in possesso e come avete risolto il problema?
“Senza la residenza nessuno può accedere ai servizi sociali erogati dal Comune; per i migranti, inoltre, è un problema in fase di rinnovo-conversione del permesso di soggiorno. Nell’avviso appena pubblicato per individuare i futuri beneficiari dell’housing abbiamo tolto il requisito del possesso della residenza a Catania, per poter accedere al progetto. Insieme al Comune si è trovata la procedura per conferire la residenza ai nuovi beneficiari una volta inseriti in appartamento, attraverso la firma di un protocollo di intesa con l’ufficio anagrafe del Comune. Purtroppo, su questo tema, come si vede, c’è molto da lavorare”.
Il vostro impegno non si limita certo al recupero degli edifici, ma andate ben oltre attraverso un ‘recupero sociale’ delle persone che abiteranno in futuro nel quartiere. Quali i punti salienti del progetto?
“Il progetto si è sviluppato a partire da una domanda: cosa significa abitare un luogo? Come partenariato abbiamo inteso il concetto di abitare come processo attivo e collettivo di trasformazione dello spazio attraverso il rafforzamento delle relazioni comunitarie. Il modello proposto tenta di rispondere alla povertà multidimensionale attraverso l’attivazione di servizi di prossimità, la creazione di spazi e di occasioni di incontro e di scambio, e il recupero di una parte dello storico Palazzo De Gaetani. Il progetto nasce dalla necessità di migliorare le condizioni abitative di San Berillo e innescare processi di miglioramento della vita degli abitanti del quartiere favorendo azioni dirette di riqualificazione e rafforzamento delle relazioni con le comunità residenti. Il progetto, tuttavia, vuole combinare azioni a forte impatto sociale con la sostenibilità economica, per tale motivo la Cooperativa di Comunità avvierà e gestirà una caffetteria sociale, che oltre a svolgere le tradizionali funzioni di un bar rappresenterà un nuovo centro di incontro dove convergeranno attività di carattere sociale e culturale per avvicinare la città al quartiere. La sua apertura, Covid permettendo, è prevista per fine marzo 2021”.
Fate rete con altre realtà e/o con le istituzioni e qual è la relazione con queste ultime?
“Lo scorso luglio un gruppo di circa 13 organizzazioni tra associazioni e ONG ha deciso di costituire una rete di servizi all’interno del quartiere. Nel corso del tempo si sono attivati sportelli di orientamento al lavoro, alla casa e uno sportello antitratta e di segretariato sociale. La rete svolge azioni di coordinamento e supporto diretto agli abitanti del quartiere oltre a produrre azioni di advocacy nei confronti degli enti pubblici. Sicuramente il progetto ha dato una forte spinta alla costituzione della rete e oggi si sta provando ad integrare quanto più possibile le azioni che ciascuna organizzazione svolge nel proprio ambito. La presenza del Comune di Catania all’interno del progetto è fondamentale proprio per creare quel collegamento diretto tra beneficiario e servizi sociali soprattutto nell’ambito dell’accesso alla casa”.
A quante persone vi rivolgete?
“Inizialmente i beneficiari diretti saranno 9 persone che soffrono un disagio abitativo comprovato ma allo stesso tempo sono motivate ad intraprendere un percorso di attivazione e impegno per la collettività accompagnati in percorsi di reinserimento sociale ed economico mirate a raggiungere una autonomia abitativa. I beneficiari troveranno ospitalità al primo piano di Palazzo De Gaetani, all’interno di un co-housing che prevede aree comuni e una foresteria in fase di realizzazione”.
Quando avrete terminato le prime ristrutturazioni, come effettuerete la selezione per gli ospiti?
“Il 17 febbraio è stato pubblicato l’avviso per l’individuazione dei beneficiari. Si sta promuovendo l’avviso in maniera mirata attraverso una attività di contatti con le associazioni del territorio oltre a quelli della rete dei servizi. È stato predisposto uno sportello ad hoc curato da Diaconia Valdese e Trame di quartiere per supportare le persone interessate nella compilazione della domanda e avviare i primi colloqui conoscitivi. Inoltre operatori di Trame di Quartiere stanno svolgendo attività di outreach nel quartiere San Berillo per individuare situazioni di disagio cui il progetto può dare risposte. Dalle prime fasi stiamo riscontrando un forte interesse a dimostrazione che il progetto intercetta un reale bisogno”.
La pandemia ha fermato tutto o in parte lo sviluppo del progetto?
“Purtroppo sì, durante il lockdown della scorsa primavera i lavori per la ristrutturazione sono stati interrotti per oltre due mesi provocando un ritardo nella loro conclusione. In generale le misure di contenimento hanno fortemente limitato le azioni volte a costruire relazioni con potenziali beneficiari cosi come le attività di animazione territoriali o eventi pubblici per promuovere il progetto”.
(ITALPRESS).