Si fa presto a dire difesa comune ma bisogna pur cominciare

Kiev - Ukraine, Kiev - May 9 2023 Ukrainian President Volodymyr Zelensky meets the President of the European Commission Ursula von der Leyen (Kiev - 2023-05-09, POU/ROPI) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

Di Pietro Romano

ROMA (ITALPRESS) – Meno male che Trump c’è. E benvenuta la ruvida franchezza del presidente Usa che ha spinto l’Unione europea a fare quanto chiedevano da tempo gli inquilini della Casa Bianca democratici e repubblicani. Vale a dire un maggior impegno sul fronte della difesa. Uno dei punti cardine di uno Stato unitario, quale l’Ue aspira a essere, al di là della forma giuridica. Senonché da un lato gli Usa pensavano a riequilibrare le spese all’interno della Nato, i vertici della Ue (soprattutto per motivi politici e per la scarsa simpatia verso Donald Trump di tanti suoi leader) hanno scoperto quasi a dispetto l’autonomia. Ma anche questo può essere buono e giusto.

Purtroppo finora non si è visto neanche un barlume di risposta ai tanti quesiti che il movimentismo di Ursula Von der Leyen ha sollevato. A loro volta, molti opinionisti che non sono in grado di distinguere un elicottero da un cammello, e forse da un aereo, si sono improvvisamente infervorati sull’ipotesi di difesa comune e ne continuano a discettare se non a strologare. Ma che cosa significa difesa comune? Forze armate con una divisa Ue? Progetti sovra-nazionali? Aggregazioni industriali su base consortile come i rari esempi di successi nella collaborazione europea che rispondono ai nomi di Mbda e, con diversi distinguo, in sostanza di Eurofighter? E con quali priorità? Quale catena di comando?

Quali soldi? E pensando a quali rapporti con la Nato, gli Usa, il Regno Unito, eventuali altri alleati extra-europei? Apparentemente per ora i soldi ci sarebbero. Altri debiti, in sostanza. E tagli ai fondi che l’Ue redistribuisce. Impegni sostanziosi per un Paese, a esempio, come l’Italia già altamente indebitato e nel contempo contributore netto delle casse di Bruxelles. Anche se per miracolo i soldi si trovassero davvero, in qualche modo disponibili, rimarrebbero aperti tutti i quesiti più propriamente ‘militar-industriali’. Prima di tutto, forze armate comuni al momento sembrano una fuga in avanti, a meno che non si parli di truppe scelte e quindi dai numeri ridotti.

Esiste poi un problema, questo sì comune, sul reclutamento, in difficoltà dappertutto. Piccoli o grandi i numeri quale sarebbe, poi, il criterio che conduce a scegliere i comandanti e soprattutto gli ordini di battaglia? Sul fronte più propriamente industriale l’Europa deve impegnarsi in uno sforzo sovra-umano. Se i Paesi europei per rifornire l’Ucraina hanno dovuto comprare dalle industrie extra-Ue è per i limiti nella loro macchina produttiva. Servirebbe una riconversione mastodontica.

Un raro esperto del settore, che non vuole essere citato, ha quantificato in dieci anni l’arrivo in porto della rivoluzione nell’industria della difesa che deve superare la frammentazione ma soprattutto problemi dimensionali con la necessità di coordinate chiare, di fondi economici, di personale altamente specializzato. Si fa presto a dire difesa comune. Anche se da qualche parte bisogna pur cominciare.

– Foto Ipa Agency –

(ITALPRESS).

 

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