Da molti anni i lavoratori e le loro organizzazioni, periodicamente, rilanciano il tema salariale che ormai è una innegabile emergenza. Lo è senz’altro per chi lavora, perché anche essendo in due a lavorare in una famiglia giovane, la voce delle uscite del bilancio casalingo spesso sopravanza la voce relativa alle entrate. Questo andamento nel tempo si è sempre di più accentuato, a causa delle esigenze sempre maggiori per le famiglie, di fatto imposte dagli andamenti della “vita moderna”. Ma è innegabile che questo accada anche per il fisco in continua ascesa, e servizi sociali pubblici sempre più scarni ed insufficienti che spingono necessariamente verso costosi servizi privati.
Insomma il reddito reale dei lavoratori è ormai diminuito da molti anni, pur essendoci stati rinnovi contrattuali nella maggioranza dei settori, con adeguati aumenti salariali pattuiti dalle associazioni imprenditoriali e da quelle dei lavoratori. Va sottolineato che le contrattazioni sono avvenute regolarmente nonostante il grado medio della competitività e produttività dell’industria e dei servizi italiani siano molto peggiorati al confronto con i paesi concorrenti nei mercati internazionali, e nonostante le nostre imprese, generalmente, siano diventate sempre più deboli. A conti fatti, ogni aumento ottenuto nel corso dell’ultimo quarto di secolo è stato sequestrato dall’idrovora fisco.
Per rendersi conto di quello che è accaduto, basti consultare i dati relativi alla pressione fiscale dagli inizi degli anni novanta fino ad oggi, per notare come attraverso tasse visibili ed occulte nazionali, unitamente alle sempre più crescenti ed invadenti tasse locali, la differenza si colloca a più del 30%, senza calcolare la iniqua distribuzione dei pesi delle tasse in capo ai lavoratori dipendenti per la esplosione del lavoro autonomo, para autonomo e del lavoro nero. Dunque, in una situazione così evidente e stringente, le contrattazioni salariali non possono che svilupparsi alla condizione di ottenere due fondamentali cambiamenti: tagliare drasticamente le tasse sul lavoro; imprimere alla produttività di sistema dei fattori di sostegno alle produzioni ed alla produttività delle aziende una vigorosa spinta, in modo da correggere rapidamente l’attuale condizione, che se qualora non cambiasse, condurrà al collasso l’economia e la coesione sociale.
Il malessere e rassegnazione che serpeggiano tra i lavoratori non porterà a nulla di buono, soprattutto in momenti di necessità di grandi sfide ed impegni occorrenti per la società italiana, se non si dovesse cambiare radicalmente questi due fattori sopra sottolineati. Essi condizionano negativamente anche la vivacità del mercato di consumo interno in assenza di una politica salariale molto più vivace. Allora il governo garantisca con zero tasse la maggiore produttività nelle aziende, mentre le parti sociali trovino soluzioni intelligenti coerenti con questi obiettivi. Allora imprenditori e lavoratori farebbero bene a pattuire insieme una linea forte all’altezza della situazione, e comunque facciano fronte comune per spingere il governo alla consapevolezza della sfida salariale. Insomma devono saper alzare il tiro riproponendosi presidio morale e politico del mondo del lavoro. Agire sbiaditamente e in ordine sparso, certamente non corrisponde alle preoccupazioni di lavoratori ed imprese, in un momento particolarmente impegnativo come quello che stiamo affrontando.
Raffaele Bonanni