di Raffaele Bonanni
ROMA (ITALPRESS) – Il rapporto sulla competitività europea, presentato a Bruxelles da Mario Draghi alla presidenza della Commissione UE, ha suscitato due tipi di reazioni: una di timida e generica approvazione, l’altra di dubbio sulla realizzabilità del progetto, se non di aperta ostilità. Era prevedibile che emergessero sentimenti di questa natura. Il “rapporto” non è altro che un riepilogo di tutte le inefficienze sistemiche del vecchio continente e dei ritardi accumulati negli anni rispetto alla competizione mondiale, inasprita da concorrenti aggressivi e potenti come la Cina e altri competitor dell’Estremo Oriente. Il mondo è cambiato, ma l’Europa ha preferito restare ancorata alle sue anacronistiche certezze, consumando la consistenza raggiunta nelle stagioni passate e, con essa, la progressiva perdita del proprio potere economico, benessere e influenza politica su scala mondiale. Si potrebbe paragonare la situazione all’Italia dell’inizio del Cinquecento: indifferente alle scoperte di nuovi mondi, nuovi commerci e nuove rotte marittime, rimaneva chiusa nelle anguste nicchie dei suoi staterelli, delle sue decadenti banche e del suo antico ma ormai insufficiente dominio dei traffici commerciali mediterranei. Così, nel tempo, come sappiamo, evaporarono i benefici del Rinascimento e la stessa indipendenza politica, classificata al culmine della sua decadenza dal Principe Metternich come una semplice “espressione geografica” assolutamente priva di una propria sovranità.
La sovranità, allora come oggi, dipende dalla capacità intrinseca di raggiungere un’economia di scala in tutte le attività sostenute da efficienti fattori di sviluppo. Infatti, indipendenza energetica, autonomia nella ricerca e innovazione, coordinamento nei sistemi di trasporto, logistica, produzione e distribuzione commerciale, unificazione e snellimento dei sistemi autorizzativi pubblici sono i punti salienti delle proposte di Draghi. Il piano mette inoltre in evidenza la necessità di assicurarsi la disponibilità autonoma di materiali strategici per l’industria elettronica, come i semiconduttori fondamentali per le moderne automazioni, i metalli e i componenti basilari per batterie e pannelli solari, e l’unificazione della programmazione dell’industria della difesa, oltre all’incremento dello sviluppo e gestione del digitale e dell’intelligenza artificiale. Un piano così impegnativo ma vitale per gli europei, secondo Mario Draghi, richiede circa 800 miliardi di euro annui, autofinanziati dal debito tipo Next Generation EU, dal prossimo anno fino al 2030. Un investimento poderoso che potrà riportare l’Europa nel solco della sua storia nel mondo ed evitare una catastrofe sicura in un futuro molto prossimo.
Ora dipenderà dalla lungimiranza della dirigenza UE, ma soprattutto dalla consapevolezza dell’opinione pubblica nel rifiutare le lusinghe in atto in ogni paese da parte di ottuse forze che ripropongono imperialismi e pericolosi isolazionismi. Ed invece deve affermarsi la convinzione che l’Europa è grande se integrata, ma assai vulnerabile se rimane un’incompiuta istituzionale e, ancora peggio, divisa.
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