ROMA (ITALPRESS) – Se fossero legate ad azioni quotate in Borsa, farebbero tremare i polsi ai mercati finanziari globali: le curve pericolosamente negative che emergono dall’analisi WWF sul Pianeta Vivente ‘parlanò invece di gorilla, orsi, pappagalli, tartarughe e storioni, tutti elementi fondamentali degli ecosistemi grazie ai quali l’umanità vive. Purtroppo i due aspetti, economico e ambientale, a cui aggiungere quello sanitario, non sono affatto disgiunti: la natura è essenziale per l’esistenza umana ed è proprio su di essa che si basa l’intera economia, sui suoi servizi che garantiscono sicurezza alimentare, riduzione degli impatti dovuti agli eventi naturali, acqua potabile, salute e medicine, solo per citarne alcuni.
Da qui l’importanza del Living Planet Report, lanciato dal WWF al livello internazionale in cui si misura la riduzione delle popolazioni globali di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci: l’analisi 2020 mostra un calo medio di due terzi avvenuto in meno di mezzo secolo, causato in gran parte dalla distruzione degli ecosistemi che sta anche contribuendo all’emergere di malattie zoonotiche come il Covid-19.
Il Living Planet Index (LPI), fornito dalla Zoological Society of London (ZSL), mostra infatti che i fattori ritenuti in grado di aumentare la vulnerabilità del pianeta alle pandemie, come il cambiamento dell’uso del suolo e l’utilizzo e il commercio di fauna selvatica, sono gli stessi che hanno determinato il crollo delle popolazioni di specie di vertebrati tra il 1970 e il 2016 il cui valore medio globale si attesta intorno al 68% di perdita.
Il Living Planet Report 2020 presenta una panoramica completa dello stato dei sistemi naturali attraverso l’LPI, che monitora l’abbondanza di fauna selvatica globale, alla quale hanno contributo oltre 125 esperti di tutto il mondo. La causa principale del drammatico declino delle popolazioni di specie terrestri, osservata nell’LPI, sono la perdita e il degrado degli habitat, inclusa la deforestazione, influenzata anche dal modo col quale l’umanità produce cibo. Le specie in via di estinzione analizzate nella LPI includono il gorilla di pianura orientale, il cui numero nel Parco Nazionale Kahuzi-Biega (Repubblica Democratica del Congo), ha visto un calo stimato dell’87% tra il 1994 e il 2015, principalmente a causa della caccia illegale, e il pappagallo cenerino in Ghana sud-occidentale, il cui numero è diminuito fino al 99% tra il 1992 e il 2014 a causa delle trappole usate per il commercio di uccelli selvatici e la perdita di habitat. L’LPI, che ha monitorato quasi 21.000 popolazioni di oltre 4.000 specie di vertebrati tra il 1970 e il 2016, mostra anche che le popolazioni di fauna selvatica che si trovano negli habitat di acqua dolce hanno subito un calo dell’84%, il calo medio della popolazione più netto tra tutti i bioma, equivalente al 4 per cento all’anno dal 1970. Un esempio è costituito dalla popolazione riproduttiva dello storione cinese nel fiume Yangtze in Cina, diminuita del 97% tra il 1982 e il 2015 a causa dello sbarramento del corso d’acqua.
(ITALPRESS).
Popolazioni animali selvatici hanno subito un declino di quasi 2/3
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