Non è insolita, nello sport – ma non faccio nomi – l’esistenza di “fratelli coltelli”: amici nella vita e rivali sul campo, o peggio, ovunque rivali, perfino nemici. Non a caso si rammenta con tenerezza la favola di Fausto e Serse Coppi, il Campionissimo e il gregario uniti da una passione comune, separati da un insanabile dramma. Conosciuti Pippo e Simone Inzaghi, due ragazzi dotati di sani umori della provincia emiliana, li ho ribattezzati Fratelli Tortelli – con squisita ricetta piacentina già nota a Giovanni Boccaccio – evocando l’atmosfera famigliare colta in una antica intervista a Mamma Inzaghi, quando i due stavano spiccando il volo verso orizzonti di gloria: un passaggio all’Atalanta, giusto per prendere la patente, eppoi Juve e Lazio, già Formula 1. Piacenza non è di umor generoso come il resto della regione, crea spiriti riservati come Giorgio Armani la cui presenza è spesso più percepita che reale. Nel caso degli Inzaghi – Pippo del ’73, Simone del ’76 – nell’amore fraterno si combinano due spiriti: quello un po’ balzano di Filippo, che ha bisogno di caricare la fantasia con vacanze romagnole tipo Papeete, l’altro che suggerisce a Simone una lunga, continua fermata nella borghesia romana. Pippo, una volta appesi gli scarpini, si muove sulla scena calcistica con la fantasia del bomber, puntando prima Venezia, territorio cadetto, dove ha fortuna, poi Bologna, sede a dir poco allegra, dove affonda, incompreso e triste come i tifosi che volevano a tutti i costi comprenderlo perché lo ritenevano in sintonia con la città e la squadra; osserva Simone che non si muove di lí, diventato praticamente laziale, e anno dopo anno costruisce una squadra forte e bella a volte anche annoiando, perché è bravo, competente, maestro e allievo insieme ai ragazzi che una società intelligente gli lascia tirar su facendone una squadra. E senza disfarla – come succede di là del Tevere – per fare cassa eppoi magre figure. Lotito lo chiamano Lotirchio finchè scoprono la sua generosità nel fermare la vendita di Milinkovic Savic, rinunciare a un pacco di milioni per tentare un colpaccio da scudetto. Perché no? Simone glielo lascia immaginare, provare, non solo sognare.
Il Pippo rinsavito cerca una sorta d’esilio, gli spenti sorrisi di Bologna li hanno ferito. Prova Benevento per provare se stesso. E gli va bene non solo perché era bravo a Venezia e un bravo non si inventa, ma perché gli sta vicino un presidente, Vigorito, che gli dà tutto il suo appoggio, da imprenditore e forse anche da padre. E il Benevento spopola, gioca già in A mentre è in B. Si promuove da solo. E Pippo stavolta ha un vantaggio, il suo scudetto/promozione l’ha già praticamente vinto. La Lazio di Simone avrà vita durissima, d’ora in poi ma certo le sarà d’aiuto la simpatia di chi vede nella squadra la realizzazione attualizzata del modulo italiano, e non solo: le duellanti classiche, Juventus e Inter, si affrontano con l’antipatia di sempre, come se il potere di vincere fosse solo il loro, che barba che noia. La Lazio rasserena il campionato dei veleni. Buon divertimento.
PIPPO E SIMONE, LA GRANDE AVVENTURA DEI FRATELLI TORTELLI
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