Ma chi ha vinto (per ora) la battaglia per il controllo di Tim? All’indomani della attesa assemblea che ha sancito i nuovi assetti del consiglio di amministrazione, più o meno tutti cantano vittoria. È fuori di dubbio che Elliott aggiudicandosi questa sfida ha conquistato i due terzi del cda piazzando tutti i suoi dieci nomi e nominando un suo presidente.
Ma i francesi di Vivendi non solo mantengono saldamente la loro posizione di primo azionista con circa il 24% del capitale, ma confermano il loro uomo, Amos Genish, come amministratore delegato che con tutte le deleghe guiderà l’azienda. Sulla base di un piano industriale che sembra invariato e con dichiarazioni piuttosto ferme sulla volontà di proseguire con un impegno di lunga durata, volendo preservare il valore di Telecom e impedendone lo smembramento. Ma vince anche la Cassa depositi e prestiti, braccio armato del Mef e quindi dello Stato, che ha apportato la quota di capitale necessaria per assicurare la vittoria del fondo speculativo americano. Le dichiarazioni a caldo del ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, dimostrano come fosse questo il preciso obiettivo da conseguire per lasciare al Governo che verrà il compito di forzare Tim a scorporare la rete e a fonderla con Open Fiber già nel controllo di Cdp.
E da quello che si dice la Cassa sarebbe intenzionata ad aumentare la sua partecipazione e a favorire l’ingresso di nuovi soci italiani. Insomma anche questa volta, come sempre nella settantennale storia di Tim e dei suoi precedenti nomi, la mano pubblica ha imposto nel bene e nel male la sua volontà, condizionando non poco le vicende societarie. Anche se in questo caso il mercato ha potuto far sentire un po’ la sua voce aggregando i suoi voti a quelli di Elliott e della Cdp. Adesso viene il difficile, con due soci pesanti in una situazione un po’ assurda. Allo sconfitto in assemblea vanno il capo azienda e la gestione piena, al vincitore il controllo del consiglio. Oltre allo scorporo della rete, mossa sulla quale comunque Vivendi avrà una voce determinante, sono molte le decisioni da prendere.
A partire dalla ormai annosa questione della conversione delle azioni di risparmio, alla strategia da adottare per la riduzione dell’ingente debito. Scelte queste, fra le prime da prendere, che richiederebbero strategie di ampio respiro e di necessaria armonia. Sarà possibile farlo con questa anomala public company, nella quale ha fatto il suo ingresso un fondo come Elliott che per mestiere deve valorizzare al meglio il suo investimento?
E che ruolo avrà la mano pubblica che dovrà difendere le sue prerogative, decidere se abolire o meno la forse superata clausola della golden power, salvaguardare i temi nazionali che in Tim si chiamano sicurezza della rete e attività di Sparkle? Sono temi di attualità, di grande urgenza. Vedremo come si sposeranno in Tim il controllo azionario di Vivendi e quello di fatto di Elliott. E vedremo anche come il nuovo consiglio, composto da gente di esperienza, che spesso ha avuto ruoli nelle aziende pubbliche, saprà districare questa matassa.
Giuliano Zoppis