ROMA (ITALPRESS) – Il 2024 è stato un anno record per le energie rinnovabili, che hanno rappresentato oltre il 90% della nuova capacità di energia a livello mondiale. Un’ulteriore crescita dopo che nel 2023 la capacità globale di energia rinnovabile era già aumentata di oltre il 50% rispetto al 2022.
Un’impennata alimentata soprattutto dalla rapida espansione delle principali tecnologie energetiche pulite nei Paesi più industrializzati: secondo le stime del modello POLES (Prospective Outlook on Long-term Energy Systems) dell’Unione Europea, entro il 2050 e nello scenario a 1,5°C almeno l’80% della produzione elettrica dei Paesi G20 proverrà da fonti non fossili.
Restano però ancora molti i progressi da fare per allinearsi all’obiettivo globale di triplicare la capacità installata di energia rinnovabile entro il 2030. Secondo l’IRENA – l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili – per raggiungere questo target la capacità dovrà crescere del 16,6% all’anno fino al 2030. Una sfida ambiziosa alla quale sono chiamati tutti i Paesi e che è al centro di un nuovo studio elaborato da ISPI e Deloitte su come conciliare gli obiettivi di sostenibilità e le esigenze di sicurezza energetica, rese ancora più ineludibili dalle tensioni geopolitiche e commerciali.
I dati raccolti nello studio “Reconciling Sustainability Transition Priorities with Energy Security ones: a focus on Industrialized Countries” mettono in evidenza che la transizione verso un’economia verde è fondamentale per mitigare gli effetti del cambiamento climatico.
Le emissioni di CO2 legate all’energia hanno raggiunto il livello record di 37,7 gigatonnellate (Gt). Il settore elettrico è responsabile per il 36% delle emissioni, seguito dall’industria (26,5%), dai trasporti (21,2%) e dall’edilizia (7,9%). La mancata riduzione delle emissioni ha profonde conseguenze per gli ecosistemi di tutto il mondo, con impatti per la salute umana, la biodiversità e la sicurezza idrica.
Le stime indicano che entro il 2050 il cambiamento climatico potrebbe provocare circa 14,5 milioni di morti, perdite economiche per 12,5 mila miliardi di dollari e fino a 1,1 mila miliardi di spese sanitarie extra. Di fronte a questa urgenza i Paesi devono però fare i conti con le tensioni geopolitiche che hanno minato la stabilità dei mercati energetici globali.
La pandemia di COVID-19, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e i conflitti in Medio Oriente hanno portato a una ridefinizione delle catene di approvvigionamento a un rialzo dei prezzi delle materie prime, in particolare in Europa. Nell’agosto 2022, pochi mesi dopo l’inizio della guerra in Ucraina, i prezzi del gas nell’UE sono arrivati in media a più di 3 volte quelli del Giappone e a quasi 8 volte quelli degli Stati Uniti, con una conseguente riduzione della competitività sui mercati globali per le imprese europee.
Un altro elemento di destabilizzazione verso la transizione energetica è rappresentato dall’elevata concentrazione geografica di minerali critici, essenziali per la produzione di tecnologie pulite. Alcuni esempi tratti dallo studio: la Repubblica Democratica del Congo fornisce il 70% del cobalto, la Cina il 60% delle terre rare e l’Indonesia il 40% del nichel, l’Australia rappresenta il 55% dell’estrazione del litio e il Cile il 25%. Anche la lavorazione di questi minerali è altamente concentrata: la Cina è responsabile della raffinazione del 90% delle terre rare e del 60-70% di litio e cobalto.
“Riuscire a bilanciare la spinta verso la decarbonizzazione con la necessità di garantire approvvigionamenti energetici stabili, prezzi sostenibili e filiere industriali resilienti – ha commentato Andrea Poggi, Head of DCM Public Policy & Stakeholder Relations Centre e DCM Innovation Leader – rappresenta oggi una delle principali sfide strategiche per le economie avanzate, chiamate a guidare una transizione sostenibile anche sotto il profilo economico e geopolitico. Per affrontarla, è fondamentale promuovere un approccio sinergico e collaborativo tra istituzioni e imprese, valorizzando innovazione e tecnologie emergenti come leva di crescita”.
“La transizione energetica non per forza incide negativamente sulla sicurezza energetica, e viceversa – segnala Antonio Villafranca, Vice Presidente ISPI per la Ricerca -. È infatti nell’interesse stesso dei Paesi industrializzati guidare la transizione verde e garantire una crescita più strategica e sostenibile. Tuttavia, sono necessarie nuove politiche e risorse finanziarie per affrontare l’impatto a breve termine su imprese e famiglie”.
– Foto IPA Agency –
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