Realizzare dispositivi elettronici utilizzando piante, alghe e batteri. E’ in sintesi il senso dell’innovativo progetto HyPhOE (H2020), finanziato con 3 milioni di euro dall’Unione Europea. Tra i sei enti coinvolti, l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, insieme a Politecnico di Bordeaux e Università di Parigi Denis Diderot in Francia, il Centro di scienze delle piante di Umeå e l’Università di Linköping in Svezia e l’Istituto dei Processi Chimico-Fisici (IPCF) del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
A Bari, nel Centro Polifunzionale Studenti “BALAB” si è tenuta l’assemblea generale del progetto HyPhOE, acronimo che sciolto vuol dire Hybrid Electronics based on Photosynthetic Organisms. Un meeting a cui hanno partecipato tutti i partner e che ha concluso il primo di tre anni di lavoro alla ricerca di un compromesso tra hi-tech e green.
“Si concepisce una tecnologia elettronica – ha spiegato il professore Gianluca Maria Farinola, organizzatore del meeting barese e responsabile dell’unità dell’Università di Bari del progetto – completamente nuova: realizzare dispositivi elettronici invece che con i classici materiali come il silicio, con organismi viventi. Significa non dover più utilizzare materiali inquinanti, ma materiali naturali per delle tecnologie avanzate. L’Europa ha creduto nel progetto finanziandolo nell’ambito del bando Tecnologie future emergenti. Quindi si scommette su una idea nuova e se ne valuta la realizzabilità”.
In un anno di lavoro non sono pochi i risultati pratici ottenuti. “Siamo riusciti – ha raccontato il prof. Farinola – a realizzare dei dispositivi elettronici, transistor e interruttori fatti con dei batteri fotosintetici, siamo riusciti a dimostrare la produzione di materiali a partire da alghe microscopiche, il gruppo in Svezia ha realizzato dei circuiti nelle piante. Inoltre abbia reclutato dei giovani ricercatori con i fondi di questo progetto che ora costituiscono un nuovo network a livello europeo in cui l’Università di Bari è coinvolta che naturalmente rappresentano una generazione di ricercatori del futuro che parlano una nuova lingua. E’ stato finora un lavoro entusiasmante e i due anni che ci aspettano lo saranno ancora di più”.
Insomma, un progetto idealmente rivoluzionario che mira, nel rispetto dell’ambiente, allo sviluppo di nuove tecnologie ibride, di dispositivi green alternativi.
“Siamo molto soddisfatti – ha aggiunto la coordinatrice del progetto, la svedese Eleni Stavrinidou dell’Università di Linkoping – soprattutto perché il sistema ha funzionato. Non è una cosa semplice. Un’attività che ha portato i nostri ragazzi ad un livello di conoscenza molto più approfondito. Ora inizia la parte più applicativa e di intersezione più profonda”.
La coordinatrice svedese ha tracciato anche un bilancio positivo sulla collaborazione tra enti e università di Paesi diversi. “E’ importante – ha detto – perché la connessione territoriale con altre università ci consente di avere differenti approcci ad un problema complesso. Portano anche a differenti esperienze e capacità che si fondono in un’unico progetto, per questo è molto importante”.