Vincono insieme, le due Nazionali, la Rossa a Monza e l'Azzurra a Tampere, lo spazio e l'emozione li consuma quasi tutti la Ferrari, Leclerc surclassa Immobile, ma è un giorno, un'occasione, ahimè, una tardiva rondine autunnale, quasi smarrita, felicità istantanea, del doman non v'è certezza, ne riparleremo la prossima primavera. L'Azzurra di Mancini è invece qui, a vele spiegate, alla sesta vittoria, titolare del suo futuro immediato, e chiede una carezza che non sia consolatoria ma complimentosa, affettuosa. Ci ricordiamo o no dov'eravamo un anno fa? Seduti davanti alla tivù, al Mondiale di Russia non ci avevano invitato, discutevamo di Ronaldo, di Modric. E oggi parliamo di noi, allora. È rinascita, questa, o illusione? Chiediamolo prima alla Grecia – senza timori nè spocchia – poi vedremo nella fase cruciale.
Fatto ricorso agli strumenti apotropaici – metalli, sia ben chiaro – vi racconto cosa ho ricordato, domenica sera, dopo il quasi deciso approdo europeo: una sorta di flashback. Avevo trascorso settimane, forse mesi, nel Sessantasei, per digerire la Corea di Pak Doo-Ik, e venne l'ora di pensare all'Europeo '68 la cui fase finale ci fu affidata. Ma prima battemmo la Romania, Cipro, la Svizzera, ai quarti c'è la Bulgaria, soffriamo a Sofia, poi la battiamo e fra Napoli – Urss e monetina – e Roma – due finali con la Jugoslavia – e diventiamo Campioni d'Europa. Forever. Nel senso ieri e mai più.
È arrivata l'ora di riprovarci. Temevo la fantasia di Mancini – uno dei calciatori più istintivamente dotati, si chiama anche classe – paventavo sdilinquimenti da Bel Giuoco, e invece no, è un Mister intelligente, pratico, ha messo a frutto l'Inghilterra e l'Inter insieme alle lezioni di Mastro Vujadin e ha deciso – se non sbaglio – di fare a modo suo, innovando anche il ruolo. Come Conte, più di Conte: selezionatore e allenatore insieme. Cerca giovani spesso ancora sconosciuti ai tecnici di club – non solo Zaniolo, mezza Italia sa di primavera – ne testa le capacità tecniche e gli umori extracampo, lavora anche sulla vecchia guardia, osa insegnare a Verratti posizione e disciplina tattica, si avvale dei "brasiliani" con perizia da tecnico scafato e lavora per ricreare una difesa degna dei decenni juventini ormai archiviati con l'addio di Barzagli e il crack di Chiellini; resta Bonucci a mostrare il carattere che si deve avere in battaglia, senza svenevolezze, anche con cattiveria agonistica sempre più sgradita agli estetisti e ai politicamente corretti.
Aggiunge, il Mancio, alle già dette virtù, il fascino del campione che si fa tecnico, cosa rara in Nazionale, posso dire Fulvio Bernardini, Cesare Maldini, Dino Zoff, Marcello Lippi e Antonio Conte che quando parlavano ai "ragazzi" potevano aggiungere il bello dell'esperienza personale. Ho sempre amato i "tecnici del parastato", Bearzot in testa, anche Valcareggi, colui che guidò i post-coreani, "Quelli del Sessantotto": Zoff, Burgnich, Facchetti, Castano, Salvadore, Rosato, Guarneri, Ferrini, Lodetti, Juliano, De Sisti, Mazzola, Anastasi, Domenghini, Prati, Riva. Bei tempi.