– Speciale Veneto –
L’immagine di piazza San Marco è stata emblematica: il cuore di Venezia, museo a cielo aperto e punto più basso della città, praticamente all’asciutto, nemmeno un dito dei 40-45 cm di marea che ci sarebbero stati senza l’azionamento del sistema. A 17 anni dall’inizio dell’opera, il test di sollevamento del Mose, entrato in funzione per la prima volta in condizioni meteo sfavorevoli lo scorso 3 ottobre, ha dato la risposta che tutti si auguravano: il flusso di mare verso la Laguna è stato interrotto facendo registrare a Punta della Salute una marea stabile intorno ai 70 cm rispetto allo zero mareografico. Un successo che ha fatto tirare un sospiro di sollievo a tutto i Paese, e che permette di guardare con fiducia al futuro di Venezia, perennemente minacciata dai “capricci” del mare nella laguna, mentre è ancora ben presente il ricordo del novembre del 2019, quando il picco di marea record di 187 centimetri – la seconda misura storica più alta, dopo i 194 centimetri dell’alluvione del 1966 – aveva invaso completamente il centro storico. Immagini che ora si spera di non vedere più, perché il Mose, al netto dei 5,5 miliardi spesi per la sua realizzazione, degli scandali e delle polemiche che hanno accompagnato la sua realizzazione, ha dimostrato di funzionare. E non era scontato. Il Mose, infatti, può essere considerato un’opera di ingegneria idraulica unica al mondo. Il suo nome, acronimo di modulo sperimentale elettromeccanico, richiama non a caso quello di Mosè che, come racconta il Vecchio Testamento, separando le acque del Mar Rosso riuscì a condurre gli irsaeliti fuori dall’Egitto. Si tratta, in pratica, di una barriera mobile posta fra la laguna di Venezia e il Mar Adriatico, che sollevata quando sale la marea protegge la città dagli allagamenti. Il Mose consiste in 4 barriere costituite da 78 paratoie mobili tra loro indipendenti in grado di separare temporaneamente la laguna dal mare e di difendere Venezia sia dagli eventi di marea eccezionali e distruttivi, sia da quelli più frequenti. Quattro le barriere di difesa: 2 alla bocca di porto del Lido (quella più vicina a Venezia che è larga il doppio delle altre due ed è formata da 2 canali con profondità diverse), composte rispettivamente da 21 paratoie quella nel canale nord e da 20 quella nel canale sud, tra loro collegate da un’isola intermedia; una barriera formata da 19 paratoie alla bocca di porto di Malamocco e una barriera di 18 paratoie alla bocca di porto di Chioggia. Quando sono inattive, le paratoie sono piene d’acqua e giacciono completamente invisibili in alloggiamenti collocati nel fondale. In caso di pericolo di maree particolarmente sostenute che possano provocare un allagamento del territorio, nelle paratoie viene immessa aria compressa che le svuota dall’acqua. Via via che l’acqua esce le paratoie, ruotando attorno all’asse delle cerniere, si sollevano fino a emergere e a bloccare il flusso della marea in ingresso in laguna. Le paratoie restano in funzione per la sola durata dell’evento di acqua alta: quando la marea cala, e in laguna e mare si raggiunge lo stesso livello, le paratoie vengono di nuovo riempite d’acqua e rientrano nella propria sede. Ciascuna paratoia è costituita da una struttura scatolare metallica vincolata attraverso due cerniere al cassone di alloggiamento. I cassoni di alloggiamento sono gli elementi che formano la base delle barriere di difesa: ospitano le paratoie mobili e gli impianti per il loro funzionamento. Sono tra loro collegati da tunnel che consentono anche le ispezioni tecniche. L’elemento di raccordo tra le barriere e il territorio è rappresentato dai cassoni di spalla. In essi sono contenuti tutti gli impianti e gli edifici necessari al funzionamento delle paratoie. Ogni paratoia è larga 20 m e ha lunghezze diverse proporzionali alla profondità del canale di bocca dove viene installata (Lido- Treporti: 18,6 m e Malamocco: 29,6 m) e spessore variabile (Lido-Treporti: 3,6 m e Chioggia: 5 m). Il tempo medio di chiusura delle bocche di porto è di circa tra 4/5 ore (compresi i tempi di manovra per l’apertura e la chiusura delle paratoie). Con questo sistema, spiega il Consorzio Venezia Nuova cui è affidata l’opera, il Mose, il cui completamento è previsto per la fine del prossimo anno, potrà proteggere Venezia e la laguna da maree alte fino a 3 metri e da un innalzamento del livello del mare fino a 60 centimetri nei prossimi 100 anni. Per assicurare la navigazione e non interrompere l’attività del Porto di Venezia anche quando le barriere mobili sono in funzione, alla bocca di porto di Malamocco una conca di navigazione consente il passaggio delle grandi navi, mentre alle bocche di Lido e a Chioggia saranno invece in funzione conche di navigazione più piccole per il ricovero e il transito dei mezzi di soccorso, pescherecci e imbarcazioni da diporto. Ma il Mose non è un sistema isolato, rientra nel Piano generale di interventi per la salvaguardia di Venezia e della laguna che vede accanto altre opere. Come il cosiddetto “Baby Mose”, un sistema messo a difesa di Chioggia dalle acque alte più frequenti fino a un massimo di 130 cm che ha tenuto all’asciutto il centro di della cittadina durante l’acqua alta dell’ottobre 2012. Ultimato in quella stessa estate, consiste in due paratoie mobili alle estremità del Canal Vena, che attraversa longitudinalmente la città, che vengono sollevate in pochi minuti e proteggono il centro dalle acque alte più frequenti. Capace di difendere Chioggia dalle maree fino a 130 cm, d’ora in poi, grazie al Mose vero e proprio che bloccherà l’entrata della marea in laguna attraverso la chiusura delle bocche di porto, la cittadina sarà protetta anche con acque alte di livello superiore.
E’ un progetto che viene da lontano quello delle barriere mobili, nasce tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, a seguito dell’alluvione del 4 novembre 1966, quando Venezia, Chioggia e gli altri centri abitati lagunari furono sommersi da una marea di 194 cm. Nel 1973, la prima Legge speciale per Venezia (Legge n. 171/1973) dichiarò il problema della salvaguardia della città “di preminente interesse nazionale”, dando inizio a un lungo iter legislativo e tecnico per garantire a Venezia e alla laguna un efficace sistema di difesa dal mare. Nel 1975, il Ministero dei Lavori Pubblici lanciò un appalto-concorso che però si concluse senza la scelta di un progetto da realizzare fra quelli presentati, in quanto nessuna ipotesi d’intervento risultava adeguata alle problematiche d’insieme. Così il Ministero guidato da Franco Nicolazzi acquisì gli elaborati presentati al concorso, affidandoli a un gruppo di esperti al fine di sviluppare un progetto per la difesa di Venezia dalle acque alte, conosciuto come il “Progettone” del 1981. Nel 1984, un’altra Legge Speciale (798/1984) istituì il Comitato di indirizzo, coordinamento e controllo di questi interventi affidandone la progettazione e l’esecuzione a un unico soggetto, il Consorzio Venezia Nuova, al quale venne riconosciuta la competenza necessaria a gestire il complesso delle attività di salvaguardia. A porre la prima, simbolica, pietra del futuro cantiere fu nel 1987 Gianni De Michelis, allora vicepresidente del Consiglio dei ministri guidato da Giovanni Goria, anche se il progetto definitivo, dopo anni di sperimentazioni, è stato presentato nel 2002. L’avvio vero e proprio dei cantieri arriva il 14 maggio 2003, con una cerimonia d’inizio dei lavori sull’isola di Sant’Elena alla presenza dell’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi, quando la prima pietra del Mose, benedetta dal patriarca di Venezia Angelo Scola, venne calata nel canale di Malamocco. Da allora sono trascorsi altri 17 anni, attraversati da inchieste e polemiche. Sul fronte giudiziario, due le inchieste aperte: nel 2013 per frode fiscale e nel 2014 per presunte tangenti e finanziamenti illeciti. Forti anche le critiche al progetto: sui costi di realizzazione, gestione e manutenzione dell’opera sostenuti dallo Stato italiano, ritenuti molto più elevati rispetto ad altri sistemi con cui altri paesi hanno affrontato problemi simili, ma anche dal punto di vista ambientale, legate sia all’impatto dell’opera alle bocche di porto, sia al mancato ricambio delle acque della laguna proprio in occasione delle maree. Polemiche che il test positivo dello scorso 3 ottobre sembra aver spazzato via, anche se l’opera ancora non è completamente a punto. Finché l’opera non sarà completata, infatti, le paratoie si alzeranno solo con una marea superiore ai 130 centimetri, ma San Marco, la piazza principale della città, si allaga quando il livello arriva a circa 90, mettendo a rischio i mosaici della Basilica. Per il piano di impermeabilizzazione ci vorranno ancora due anni, mentre il progetto rielaborato dall’architetto Stefano Boeri per metterla in sicurezza con apposite protezioni in vetro è stato bocciato dagli esperti del ministero dei Beni culturali.
(ITALPRESS)
Mose, la grande opera di Venezia entrata in funzione
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