Il mobbing sul lavoro è, purtroppo, una condotta che non accenna al contenimento, nonostante gli interventi di legge e le maggiori sensibilizzazioni degli ultimi anni.
Sebbene l’ordinamento proponga ora una serie di azioni di tutela per la vittima di tali comportamenti, non sempre è facile qualificare tale fattispecie e, purtroppo, non sempre si è portati a denunciare il proprio datore di lavoro, per la paura delle conseguenze.
Ebbene, cerchiamo di comprendere come difendersi dal mobbing e che cosa occorre sempre fare quando si ritiene di essere destinatari di comportamenti che possono ricadere in questa ipotesi.
Cos’è il mobbing
La prima cosa da chiarire è che quando si parla di mobbing si parla di una serie ripetute di condotte illecite del datore di lavoro che, mediante maltrattamenti, umiliazioni e altri comportamenti che ledono la dignità del lavoratore, lo ostacolano nel corretto svolgimento della propria attività, lo offendono e lo inducono a dimettersi e a lasciare il proprio posto di lavoro.
Anche senza arrivare a una finalità estrema (le dimissioni), quel che è evidente è che l’intento del datore di lavoro è quello di generare una sofferenza nella vittima, tale da pregiudicare il suo benessere.
Affinché si possa qualificare correttamente il mobbing, è inoltre necessario che le condotte illecite non siano isolate, ma siano verificate in un lasso di tempo apprezzabile, comunque non rigidamente determinato.
Infine, si tenga anche conto che il mobbing può non solamente essere “verticale” (ovvero, esercitato dal datore di lavoro), quanto anche orizzontale, ovvero esercitato dai colleghi della vittima.
I requisiti del mobbing
Una delle più note sentenze sul mobbing (Cass. n. 2147 del 27 gennaio 2017) ha contribuito a evidenziare quali sono i principali elementi che caratterizzano il mobbing.
Il mobbing è di fatti contraddistinto da:
- una serie di comportamenti ostili;
- ripetitività delle vessazioni per un periodo di tempo congruo (nel caso in esame si era ritenuto di poter giudicare congruo un periodo di tempo pari a sei mesi);
- lesione della salute e della dignità del dipendente, che a loro volta possono sfociare in depressione, stress, ecc.;
- esistenza di un rapporto di causa ed effetto tra le condotte del datore e il danno subito dalla vittima, tale per cui il secondo deve essere direttamente conseguenza delle prime;
- infine, un intento persecutorio che collega tutti i comportamenti illeciti. Il mobbing esiste nelle ipotesi di condotte che sono poste in essere con la finalità specifica di determinare un dolo, e cioè con la volontà di nuocere, infastidire o svilire un proprio compagno di lavoro o un dipendente, con il frequente scopo di allontanarlo dall’impresa.
Come difendersi dal mobbing
Il lavoratore che desidera difendersi dal mobbing deve innanzitutto prepararsi a raccogliere gli elementi che possono più facilmente configurare tale illecito. Senza prove a proprio sostegno, infatti, è lecito pensare che la causa contro il datore di lavoro possa essere rigettata.
Per quanto concerne poi le proprie azioni, la strategia legale dipenderà caso per caso. E, dunque, diviene fondamentale ricorrere alla consulenza di un esperto che possa assistere giudizialmente il dipendente, suggerendo, magari:
- la presentazione di un ricorso urgente ex art. 700 c.p.c;
- il risarcimento del danno con azione in tribunale;
- le dimissioni giusta causa.
In tal proposito, si tenga anche in debita considerazione che non esiste un vero e proprio risarcimento per il mobbing, ma che il lavoratore può evidentemente rivolgersi al giudice per poter ottenere il risarcimento di danni patrimoniali (perdita di guadagno, di opportunità lavorative) e non patrimoniali (danno alla salute, ecc.).
Ne deriva che il danno da mobbing è spesso quantificato dal giudice secondo criteri di equità, sulla base di quanto emerge in sede di causa.