Michelle Obama boicotta l’insediamento di Trump, Biden cita Eisenhower nel discorso d’addio

di Stefano Vaccara
NEW YORK (ITALPRESS) – Per l’inauguration di Donald Trump di lunedì 20 gennaio a Washington, molte delle feste di gala saranno finanziate da ricchi imprenditori che non perdono occasione di ingraziarsi il nuovo presidente. Ci saranno tutti gli ex presidenti con le loro spose tranne una, quella più famosa e che molti avrebbero voluto come prima donna presidente: no, non è Hillary Clinton, ma Michelle Obama.
Intanto Joe Biden ha tenuto dalla Casa Bianca mercoledì sera il tradizionale discorso di commiato, in cui ha espresso agli americani le preoccupazioni sul futuro del paese. Biden ha avvertito che “un’oligarchia di miliardari” sta emergendo in America, e ha lanciato l’allarme sulla “pericolosa concentrazione di potere” che potrebbero ottenere a discapito della democrazia.
L’avvertimento di Biden ha ricordato quello nel discorso d’addio del presidente Dwight Eisenhower, che parlò “del complesso militare-industriale”. Biden, ha fatto riferimento al “complesso tecnologico-industriale,” parlando dell’erosione della verità stessa, provocata da piattaforme di social media incontrollate e dei pericoli potenziali dell’intelligenza artificiale.
Il vecchio presidente ha anche attaccato la decisione della Corte Suprema che ha confermato che la Costituzione concede ai presidenti un’ampia immunità, una decisione di cui Trump potrebbe approfittare durante il suo mandato.
Intanto questa settimana sono iniziate le audizioni dei prescelti da Trump per il suo governo. Si è subito partiti con la più problematica delle sue nomination, quella di Pete Hegseth, per l’incarico di segretario alla Difesa della più potente nazione del mondo. Cioè capo di quel Pentagono che ha un budget di oltre 800 miliardi di dollari.
Su Hegseth, ex veterano dell’Iraq e Afghanistan, pesano sospetti di aver violentato e poi pagato per far cadere la denuncia una funzionaria del partito repubblicano; inoltre si sarebbe spesso presentato al lavoro ubriaco portando anche alla bancarotta le fondazioni di veterani per cui aveva lavorato prima di diventare un volto famoso di Fox tv. Poi, tranne il fatto di essere stato un militare al comando di un plotone, non avrebbe alcuna qualifica ed esperienza per dirigere un ministero che impiega 2,8 milioni di americani.
Eppure, dopo le pressioni di Trump, tutti i senatori repubblicani della commissione forze armate hanno dato segnali di ritenerlo idoneo, persino la senatrice dell’Iowa Joni Ernst, proprio colei che da militare sopravvisse ad una violenza sessuale e che aveva mostrato all’inizio ampie riserve su Hagseth, soprattutto per certe sue posizioni contrarie alle donne schierate in combattimento. Durante l’audizione, la senatrice dell’Iowa ha colloquiato calorosamente con Hegseth dicendo che si sentiva rassicurata dopo un loro incontro.
Nelle altre audizioni avvenute in settimana, tutto liscio, nessuno rischia. Per la Giustizia, l’ex avvocata di Trump ed ex ministro della giustizia dello Stato della Florida Pam Bondi, brillante italoamericana di 59 anni con famiglia originaria della Campania, ha duellato con i senatori democratici che l’hanno attaccata sulle sue capacità di poter conservare “indipendenza” dal presidente che ha più volte minacciato che si sarebbe vendicato dei suoi nemici proprio attraverso il ministero della Giustizia. E’ risultato debolissimo il tentativo di alcuni senatori democratici di far passare come “peccato originale” di Bondi l’essere stata avvocato di Trump: non solo aveva fatto lo stesso Ronald Reagan con il suo Attorney General, ma addirittura John Kennedy aveva nominato suo fratello Bob!
A chi le ha chiesto se dentro il ministero avrà liste di “nemici da perseguire”, facendo riferimento a quelle pubblicate nel libro del suo collega e amico Kash Patel, cioè colui nominato da Trump all’FBI, Bondi ha replicato che non ha nessuna lista ripetendo che seguirà solo la legge.
L’esperta procuratrice ha vacillato solo quando le è stato chiesto di rispondere chi abbia vinto le elezioni del 2020. Bondi ha risposto di riconoscere che Biden fosse il presidente, ma più veniva pressata nel rispondere “sì” o “no”, ha replicato dicendo di aver visto in prima persona commettere brogli in Pennsylvania.
A meno di qualche enorme scandalo scoperto all’ultimo momento, quasi tutte le nomine decise da Trump, compresa quella di Patel, – che da direttore dell’FBI ripete di voler chiudere il quartier generale di Washington per farne un museo del “Deep State” – sembrano corazzate dai repubblicani.
Tranne due nomination: quella di Robert Kennedy Jr alla Sanità (per le sue note posizioni di critica ai vaccini) è quella di Tulsi Gabbard alla direzione della National Intelligence. Quest’ultima non rischia per il suo sospetto “filo putismo” di cui l’accusano i democratici, ma perché alcuni senatori repubblicani non riescono a digerire il fatto di dover nominare una ex deputata democratica libertaria che una volta appoggiò persino Bernie Sanders.
Perché gli americani dovrebbero seguire queste audizioni? Come ha spiegato il senatore di New York Chuck Schumer, i cittadini devono sapere fino a che livello i senatori repubblicani si spingeranno ad assecondare il presidente Trump per certe nomine. Se infatti Trump dovesse ordinare al capo del Pentagono di far intervenire l’esercito per far sparare alle gambe degli americani che protestano, oppure fornire alla ministra della Giustizia una lista di “nemici” da perseguire, se questi eseguiranno gli ordini senza fiatare, i cittadini potranno al momento di votare decidere se confermare o meno quei senatori che approvarono quelle nomine.
-foto Ipa Agency –
(ITALPRESS).

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