MAFIA, SMANTELLATA RETE BOSS MESSINA DENARO

Anche Gaspare Como e Rosario Allegra, gli unici due cognati del boss latitante Matteo Messina Denaro, sono finiti in manette nell’ambito dell’operazione che ha portato all’arresto di 22 affiliati alle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna. Gli indagati devono rispondere di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione armi e intestazione fittizia di beni, reati aggravati dalle modalità mafiose.

Le indagini, condotte dai Carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Trapani e dalla Polizia di Stato con le Squadre mobili di Palermo e Trapani ed il Servizio Centrale Operativo, hanno documentato le dinamiche associative dei mandamenti mafiosi di Castelvetrano e Mazara del Vallo, accertando il ruolo di vertice degli esponenti della famiglia dei Messina Denaro e dei suoi principali affiliati, le gerarchie e i componenti delle principali articolazioni mafiose, il capillare controllo del territorio ed il sistematico ricorso all’intimidazione per infiltrare il tessuto economico locale.

L’operazione, denominata “Anno Zero”, è il frutto di una serie di indagini sviluppate nella provincia di Trapani dall’Arma dei Carabinieri, dalla Polizia di Stato e dalla Dia sotto il coordinamento della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo.

Le indagini hanno permesso di documentare il ruolo di vertice operativo assunto da Gaspare Como, cognato del latitante, designato quale reggente del mandamento di Castelvetrano dopo un periodo di interregno conseguente agli arresti effettuati nel dicembre 2013 (operazione Eden) e agosto 2015 (operazione Ermes) che avevano colpito i principali esponenti dell’organizzazione, tra cui alcuni membri del circuito familiare dei Messina Denaro.

Proprio la costante esigenza di avere un esponente familiare al vertice della struttura, imponeva al capo mafia latitante di incaricare il cognato, personaggio rimasto a lungo nell’ombra per quanto coinvolto in passato in vicende criminali, quale responsabile del mandamento di Castelvetrano a partire dai primi mesi del 2016.

Gaspare Como, durante tale periodo, avrebbe esercitato la sua leadership attraverso un ristretto circuito di sodali di “provata affidabilità”, composto da Antonino Triolo, titolare di una agenzia pratiche auto in Castelvetrano; Vincenzo La Cascia, uomo d’onore della famiglia di Campobello di Mazara; Calogero Guarino, gestore di una frutteria in Castelvetrano; Vittorio Signorello, dipendente civile dell’aeroporto Trapani Birgi.

Particolarmente significativi sono stati gli esiti delle intercettazioni ambientali all’interno dell’agenzia pratiche auto di Antonino Triolo, luogo deputato – secondo quanto accertato dagli investigatori – a mascherare i riservati incontri tra quest’ultimo e Como, funzionali alla veicolazione delle comunicazioni con Nicola Accardo, indicato come capo della famiglia di Partanna di cui Triolo si sarebbe rivelato principale braccio destro. In tale ambito gli investigatori, come è stato spiegato dagli inquirenti in conferenza stampa, hanno avuto conferma della centralità di Matteo Messina Denaro nelle dinamiche associative attraverso disposizioni impartite al cognato e a quest’ultimo giunte tramite Nicola Accardo, che avrebbe proceduto allo smistamento di “pizzini”.

In tale quadro, le intercettazioni hanno rivelato “l’esistenza di accese interlocuzioni” in seno al mandamento di Castelvetrano tra esponenti della famiglia di Campobello e Castelvetrano sulla spartizione di proventi illeciti, per dirimere le quali si sarebbe resa necessaria la “forte presa di posizione” di Gaspare Como, forte dell’investitura ricevuta dal cognato Matteo Messina Denaro per la risoluzione di ogni controversia sul territorio.

Tale scenario ha fatto da sfondo all’omicidio di Giuseppe Marcianò, avvenuto a Campobello di Mazara il 6 luglio 2017, uno dei protagonisti delle criticità interne all’organizzazione.
Più in generale, le indagini hanno documentato uno spaccato delle dinamiche associative del mandamento di Castelvetrano, comprendente anche le famiglie di Paranna e Campobello di Mazara, evidenziando la vitalità dell’organizzazione nel controllo del territorio e la sua pericolosità testimoniata da condotte estorsive ai danni di imprenditori dell’area, dalla consumazione di una serie di danneggiamenti su beni e proprietà allo scopo di punire atteggiamenti irrispettosi di soggetti riottosi all’autorità mafiosa, e dalla ampia disponibilità di armi e munizionamento. Particolarmente attivi in tale ambito sarebbero stati gli indagati Giuseppe Tilotta, Giuseppe Bongiorno e Leonardo Milazzo, indicati come responsabili di attività intimidatorie su disposizione del capo mandamento Gaspare Como.

E’ emersa, inoltre, l’assoluta fedeltà dei membri dell’organizzazione al latitante Matteo Messina Denaro, attraverso manifestazioni di vera e propria “venerazione” per la sua carismatica figura, che veniva ulteriormente enfatizzata all’indomani della morte di Totò Riina, allorquando veniva indicato come suo erede naturale.

Emblematica, in tal senso, sottolineano gli investigatori, è “la solerzia” dimostrata da Angelo Greco, uomo d’onore di Campobello di Mazara. Le indagini hanno evidenziato la stretta vicinanza dell’indagato al capo mafia latitante, tanto da essere a conoscenza nel dicembre 2012 di una sua momentanea permanenza nella zona di Marsala. Greco si sarebbe premurato a cancellare una scritta irriguardosa comparsa su un muro della cittadina campobellese nel gennaio 2013 nei confronti di Matteo Messina Denaro, attivandosi per ricercare il responsabile.   

Contestualmente, le indagini, hanno fatto luce sulle dinamiche associative dei mandamenti di Castelvetrano e Mazara del Vallo e di alcune delle famiglie mafiose in essi inserite. Un ruolo di primo piano avrebbe rivestito Nicola Accardo, figlio del defunto “Ciccio”, al vertice della famiglia mafiosa di Partanna, nelle cui mani e nella cui abitazione rilevanti intercettazioni ambientali hanno documentato la lettura di riservatissima corrispondenza, attraverso il sistema dei “pizzini”, originata dal latitante e diretta sia al suo ambito familiare, sia ai vertici di alcune “famiglie mafiose”.

Ancora una volta, infatti, è emerso l’uso dei “pizzini” per dirimere controversie, dare disposizioni ai sodali ed investire delle massime cariche mafiose in seno alle rispettive famiglie le nuove leve, tra cui il neo reggente del mandamento di Mazara del Vallo, Dario Messina.
Analogamente è stata registrata, già durante la detenzione domiciliare del noto capomafia Vito Gondola, recentemente deceduto, l’ascesa di Dario Messina, oggi indicato al vertice del mandamento di Mazara del Vallo, non priva di documentati contrasti e di importanti progettualità criminali.

L’inchiesta ha documentato i contatti tra i diversi mandamenti nella gestione mafiosa del realizzando parco eolico di Mazara, facendo emergere divergenze tra i massimi esponenti degli stessi con il ricorso ad azioni intimidatorie.

Analoghe progettualità criminali, sono state registrate all’interno del mandamento di Mazara del Vallo durante l’ascesa, prima della sua formale investitura, di Dario Messina consentendo, oggi, il fermo suo e dei suoi più stretti “collaboratori”, Bruno Giacalone e Marco Buffa quest’ultimo dichiaratosi “capo decina” di Petrosino Strasatti.

Dalle indagini emerge come il boss latitante, al fine di assicurarsi il costante controllo delle attività illecite e dei relativi proventi economici, abbia privilegiato, nella scelta dei soggetti da porre al comando dell’organizzazione mafiosa, il criterio “dinastico”, individuando sempre persone appartenenti alla propria cerchia familiare, affinché il vincolo “mafioso” coincidesse pienamente con il vincolo “di sangue”. Altrettanto per le altre famiglie mafiose ed i rispettivi mandamenti.

Nel corso dell’attività investigativa carabinieri e polizia hanno documentato sia le numerose attività finalizzate al mantenimento in vita dei sodalizi mafiosi interessati, talvolta realizzate attraverso azioni violente mirate a ribadire l’assoggettamento del territorio e delle relative attività economico-imprenditoriali a “cosa nostra”, sia i meccanismi che hanno assicurato il collegamento tra le diverse articolazioni territoriali di “cosa nostra” e il mantenimento delle funzioni di vertice, per la provincia di Trapani, del latitante Matteo Messina denaro. 

Le intercettazioni hanno, inoltre, consentito di accertare che che alcuni indagati, attraverso insospettabili, sarebbero intervenuti in aste giudiziarie per riappropriarsi anche di beni sequestrati in precedenti operazioni antimafia ed è stato documentato l’interesse della criminalità organizzata per il settore delle scommesse, attraverso la gestione di numerosi “punti gioco”, oltre alle attività tipicamente mafiose quali estorsioni e danneggiamenti.

Le indagini hanno consentito di contestare a Carlo Cattaneo, imprenditore nel settore dei giochi e scommesse on line, il reato di concorso esterno all’organizzazione mafiosa, per avere posto una serie di condotte volte a favorire l’acquisizione e la gestione da parte dell’associazione di tali rilevanti atttività economiche, provvedendo, tra l’altro, al sostentamento economico del circuito familiare del latitante Matteo Messina Denaro.

 

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