“Sono passati 35 anni ma la sua morte drammatica ha lasciato un vuoto incolmabile in noi figli, nei suoi nipoti che non ha potuto conoscere e che tanto avrebbe amato, e nelle persone che lo hanno conosciuto apprezzandone le qualità professionali e umane. Ci ha lasciato però una lezione morale importante di dedizione alle istituzioni, di senso dello Stato, di impegno per la collettività”. Parole pronunciate con commozione quelle con cui Caterina Chinnici oggi, nella chiesa di San Giacomo dei Militari, presso il Comando Legione Carabinieri Sicilia a Palermo, ha ricordato il padre Rocco, ideatore del pool antimafia, nel 35° anniversario della strage mafiosa di via Federico Pipitone. Oltre all’allora capo dell’Ufficio istruzione del tribunale di Palermo, nell’agguato persero la vita i Carabinieri Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, addetti alla sicurezza del magistrato, e Stefano Li Sacchi, portiere dello stabile in cui Rocco Chinnici viveva con la famiglia.
“Per primo papà fu capace di comprendere la reale pericolosità della mafia quando ancora di mafia non si parlava – ha detto ancora Caterina Chinnici, dopo avere ricordato anche le 17 persone rimaste ferite nell’attentato – e ne comprese i legami con gli ambienti imprenditoriali, con la politica e con le associazioni criminali di altri paesi. Un magistrato moderno che ha saputo rompere gli schemi, cambiando la cultura giudiziaria e i metodi di indagine e sollecitando il rinnovamento culturale soprattutto attraverso il dialogo con i giovani, che metteva in guardia dal rischio dell’acquiescenza a una cultura che accettava la presenza della mafia nella società. Portò avanti il suo lavoro malgrado una crescente solitudine e una condizione di isolamento culturale, quella che derivava dal suo essere un pioniere”.
Le commemorazioni si sono aperte alle 9.30 con la deposizione di corone di fiori e di alloro sul luogo della strage, con la partecipazione delle autorità civili e militari. Tra i presenti, oltre ai tre figli del giudice Chinnici Caterina, Elvira e Giovanni, il prefetto di Palermo Antonella De Miro, il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Giovanni Nistri, il vicepresidente della Regione Siciliana Gaetano Armao, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, il presidente della Corte d’Appello di Palermo Matteo Frasca e il questore di Palermo Renato Cortese.
Nella caserma “Carlo Alberto Dalla Chiesa”, sede del Comando Legione Carabinieri Sicilia, il secondo momento dedicato al ricordo, con la celebrazione della santa messa seguita da alcune testimonianze da parte delle autorità.
“Commemorare vuol dire condividere la memoria e comunicarla – ha sottolineato il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Giovanni Nistri – e così facendo si può riflettere. La strage del 1983, così come le altre, in fondo ci insegna la chiarezza di chi sta con chi, ci insegna la necessità storica di un rapporto simbiotico tra l’autorità giudiziaria e tutte le forze di polizia per la ricerca del bene comune, e ci insegna che le persone ricordate oggi hanno passato il testimone del loro esempio a chi ha saputo raccoglierlo per andare avanti lungo quella strada. L’uso migliore della vita – ha concluso citando William James – è di spenderla per qualcosa che duri più della vita stessa”.
“Rocco Chinnici era dotato di un’intelligenza divergente – ha detto Matteo Frasca, presidente della Corte d’Appello di Palermo – grazie alla quale seppe trovare soluzioni innovative al di fuori dei modi tradizionali di impostazione dei problemi. Per ricostruire idealmente l’originario gruppo di lavoro e trasmetterne la conoscenza alle nuove generazioni, alcuni giorni fa è stata decisa la collocazione dinanzi al museo Falcone-Borsellino, nel palazzo di giustizia, di un poster con l’immagine di Rocco Chinnici e, per didascalia, la sua frase «il pericolo maggiore è la rassegnazione». Noi, mantenendo attuale e vivo il suo esempio, non intendiamo affatto rassegnarci a Cosa nostra nè a qualunque forma di illegalità, come non intendiamo rassegnarci a non sapere tutta la verità sulla strage di via Federico Pipitone e sulle altre stragi che hanno insanguinato l’Italia”. Frasca ha anche annunciato l’apertura, avvenuta oggi, di una sezione dedicata a Rocco Chinnici nel sito del Consiglio superiore della magistratura.
“Quella di via Federico Pipitone – ha detto Annamaria Palma Guarnier, avvocato generale presso la Corte d’Appello di Palermo – è stata una strage maturata in un contesto e in un momento storico in cui l’assassinio del dottor Chinnici divenne funzionale a un interesse strategico complessivo di Cosa nostra e non solo. Chinnici era diventato eccessivamente scomodo, non soltanto perché metteva in discussione la tradizionale impunità delle organizzazioni mafiose, ma per la presa di coscienza del loro rapporto strutturale con gruppi e centri di potere politico-economico fino ad allora considerati intoccabili”.
In apertura Giovanni Chinnici, figlio di Rocco Chinnici e presidente della fondazione che ne porta il nome, ha dato lettura del messaggio inviato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “Elevate qualità professionali, abnegazione e alto senso dello Stato – è scritto in un passaggio del messaggio del Capo dello Stato – consentirono a Chinnici di dirigere l’Ufficio istruzione del tribunale di Palermo con fermezza, equilibrio e rigorosa coerenza. A lui si deve l’avere intuito in tutta la loro pericolosità le connessioni della mafia con l’alta finanza, la politica e l’imprenditoria, e l’avere promosso inedite strategie investigative fondate sulla collaborazione tra i magistrati che svolgevano le indagini sul fenomeno”.