Confesso la mia colpa. La mia parte di colpa. Sì, i media cercano disperatamente di tenere in vita un campionato che l’Inter sta dominando con disinvoltura e classe, senza minimamente lasciarsi andare a giustificate rodomontate. Diciamo la verità: un Helenio o un Mourinho avrebbero organizzato fuochi d’artificio e liturgie lussureggianti se si fossero trovati a cominciare un anno con dieci vittorie consecutive. E avremmo ascoltato chissà quali lezioni di calcio, e confronti con le grandi d’Europa, e garanzie di chissà quali trionfi negli anni a venire. E invece…
Forse gli faccio un torto raccontando dell’umiltà professionale – non retorica – di Simone Inzaghi. Dico umiltà, non modestia, e l’ammanto di virtù pedatorie – innegabile la potenza realizzatrice come l’accortezza difensiva – perchè altrimenti qualche bauscia a piede libero potrebbe dire che non è da Inter esser potenti ma moderati, soddisfatti ma prudenti, lieti ma appena sorridenti. Signori insomma. Sto dedicando a Simone l’elogio della saggezza quando invece la Pazza Inter si godeva abitualmente l’elogio della follìa.
Eppure la nuova Beneamata ha acquisito un ruolo addirittura regale grazie a questo panchinaro piacentino cresciuto nella nebbia prima di farsi grande sotto il sole di Roma: uno che non filosofeggia, ignora la recita dell’affabulatore, evita accuratamente l’ironia madre di fraintendimenti. E’ un borghese realista. E visto che c’ero, a viverlo con la giusta partecipazione emotiva, per rallegrarlo gli rammento un’altra rarità di stile: quello di Trapattoni quando, casualmente seduto sulla panchina nerazzurra, vinse nell’89 un campionato straordinario creando un’Inter travolgente che spiacque soltanto a quei succitati bauscia che non sopportavano le origini milaniste e i trionfi juventini del Trap. Fu una stagione trionfale, Giovannino fischiava e la Beneamata macinava primati: 58 punti su 68 disponibili (record per i tornei a 18 squadre); maggior numero di vittorie complessive, 26 su 34 gare; maggior numero di vittorie in trasferta, 11 su 17 gare; miglior attacco della stagione, 67 gol segnati; miglior difesa della stagione, appena 19 gol subiti. E i 22 gol di Aldo Serena, un campione senza albagia, educato e riservato nonostante la frequentazione straordinaria di grandi club.
Proprio come Lautaro Martinez che a Lecce firma la doppietta che lo porta a quota 101, Zona Favola, e lui non si esalta, non diveggia, non ha ancora pensato che se a fine stagione l’Inter metterà sulla maglia la seconda stella sarà molto merito suo. E naturalmente – dico io – di quell’Inzaghi che quando arrivò a Milano fu salutato da tanti patiti dei Pooh, signori di San siro, come se fosse un cugino di campagna.