VENEZIA (ITALPRESS) – In una Mostra davvero troppo poco asiatica, a portare il Giappone in Concorso a Venezia 79 ci pensa Koji Fukuda, 42enne regista di Tokio con all’attivo una buona filmografia che ha avuto il suo top nel 2016 con “Harmonium”, che fu premiato al Certain Regard di Cannes, al suo esordio sul Lido veneziano con questo “Love Life”. Si tratta di una “dramedy”, secondo le categorie di genere cinematografico fluide di oggi, ovvero di un dramma in forma di commedia: essenzialmente una storia d’amore giocata su due fronti dalla protagonista, Taeko, una giovane donna che conduce una vita serena assieme al marito Jiro, sposato da poco, e al piccolo Keita, avuto dal suo precedente matrimonio con un uomo coreano, sordo, sparito nel nulla senza lasciare traccia. Figure lievi, tenute unite dall’amore e dalla simpatia del piccolo Keita, campione di Othello, destinato a innescare la tragedia quando rimane vittima di un incidente domestico. Non che la cosa si traduca in un dramma a tinte forti, siamo infatti nella società giapponese, dove i sentimenti sono vissuti con discrezione e le emozioni implodono in stati di sospensione esistenziale.
Non a caso sarà il marito coreano, rifattosi vivo al funerale del bimbo, a scatenare il vero dramma, mettendo poi in moto un flusso sentimentale che coinvolge Taeko, ritrovatasi sospesa tra la relazione con Jiro e il sentimento che la lega, anche nel ricordo del bimbo morto, al suo primo marito. Koji Fukuda lavora per diffusione di emozioni, lasciando che la tessitura del dramma si alimenti nel progressivo rivelarsi dei sentimenti trascorsi, di quelli presenti e anche delle prospettive future degli amori in corso. “Love Life” è un film con carattere e sviluppa tutti gli elementi in gioco con decisione, lavorando sul concetto di famiglia come una trama di relazioni costruite sul variare degli elementi emotivi. La regia tiene l’equilibrio dei toni drammatici e da commedia, puntando molto sul gioco degli interpreti, tutti bravi a iniziare dalla protagonista Fumino Kimura.
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