Reti sociali che diventano reti economiche e strumento di sviluppo per il Sud. Sono le relazioni intrecciate dalle imprese sociali, che operano con situazioni di svantaggio ma al contempo creano una catena della solidarietà per la crescita del territorio e della comunità. L’attività delle imprese sociali, come spiega il presidente della Fondazione con il Sud, Carlo Borgomeo, “un po’ alla volta si è affermata in tutta Italia e negli ultimi anni sta crescendo anche al Sud”, costruendo un percorso “molto importante” perché consolida “relazioni sociali positive” e “dà luogo poi anche a opportunità di sviluppo”. Coltivare terreni confiscati, produrre beni unici e innovativi, coinvolgere nelle attività anche detenuti, persone con disabilità, immigrati, donne vittime di violenza è una grande sfida, ancora più complessa in territori come le regioni del Mezzogiorno, dove occorre anche colmare il gap economico, infrastrutturale e culturale. In questi contesti, le imprese sociali lavorano in una doppia condizione di difficoltà. Borgomeo, tuttavia, si dice “ottimista sul futuro”. “Non sottovaluto né minimizzo le difficoltà, le complessità e la grande fatica ma ho un giudizio positivo. È più difficile fare impresa, però il moltiplicarsi delle esperienze mi rende ottimista”, aggiunge.
Il rapporto con la comunità è il punto di forza delle imprese sociali e rappresenta il mezzo principale per contribuire allo sviluppo del territorio. “Tutte le persone con le quali siamo rimasti in contatto sono molto attive anche sui social e si sono aggiornate”, afferma Luciana Delle Donne, fondatrice di Made in Carcere, brand grazie al quale donne detenute di alcune carceri del Sud realizzano gadget personalizzati. Delle Donne evidenzia come i corsi avviati abbiano contribuito a “eliminare il gap tecnologico” perché hanno permesso di sviluppare “competenze trasversali per poter affrontare la vita e qualsiasi altro nuovo lavoro”. “Il sud è la nostra casa”, commenta entusiasta Dine Diallo, presidente dell’impresa sociale Giocherenda che in Sicilia produce giochi di società cooperativi, promuovendo anche l’integrazione. Diallo ricorda di essere nato in Guinea ma ammette di sentirsi palermitano: “Il nostro progetto è nato qui al sud. Tutto quello che abbiamo fatto, lo abbiamo fatto qui. Difficoltà? Ce ne sono, ma quando abbiamo inaugurato il nostro negozio nel centro storico di Palermo, la risposta è arrivata dalle tante persone che hanno partecipato. Qui ci sentiamo accolti, ci sentiamo a casa”.
Una storia di integrazione e di legami perché, racconta, a Giocherenda erano giunte proposte per spostare l’attività a Berlino, Parigi e Bruxelles. “Abbiamo resistito e deciso di restare qui a Palermo, dove ci troviamo molto bene”, commenta ancora Diallo, affermando che il problema resta invece la burocrazia. Tra gli incantevoli paesaggi della Puglia, la cooperativa sociale Semi di Vita si dedica all’agricoltura sociale tra Bari, Casamassima e Valenzano, dove gestisce 26 ettari di beni confiscati alla mafia. Il rapporto con la comunità, alla quale si rivolge, convince il presidente di Semi di Vita, Angelo Santoro, dell’importanza di fare impresa al Sud: “La gente ha tanta voglia di riscatto, quel riscatto positivo che stiamo veicolando sui terreni affinché i beni confiscati diventino bene comune e portino buone prassi sul territorio”. Sono esempi di imprese sociali che, anche nel periodo dell’emergenza legata alla diffusione del coronavirus, hanno dovuto affrontare un’ulteriore sfida, perché con le norme anti-contagio è andato in crisi perfino il loro legame con la comunità. Per l’economista Leonardo Becchetti, tuttavia, c’è una soluzione: “Le imprese che hanno un’attività di creazione di valore economico possono continuare ad andare bene lavorando nel digitale, cioè aprendo nuovi canali commerciali”.
(ITALPRESS).