Le lacrime da Libro Cuore di Daniele De Rossi sono belle da
raccontare, anche se cinicamente già dall'addio di Totti si
potrebbe parlare di una Roma da piangere; le lacrime dell'Empoli
sono da rispettare, da condividere: non meritava di retrocedere la
squadra che più di ogni altra ha rivelato la ridicolaggine
dell'Inter già palesata – in termini tragicomici – con la pochade
calcistica del triangolo Spalletti – Wanda – Maurito. Non so se
Antonio Conte – euromilioni a parte – sia ancora così convinto di
prendere a mano una squadra tanto scombiccherata, condannata a
tremare fino all'ultimo istante dai ragazzi tuttocuore di
Andreazzoli. Che fino all'ultimo istante ha rischiato di farcela.
Giuro che avrebbe più meritato la Champions l'onesto Milan di
Gattuso che rischierà invece l'affronto dell'allontanamento da una
squadra che ha riabilitato. Racconto sentimentale, quello
rossonero, ben diverso da quello romano: il lavoro di Ringhio, che
non è un Top ma un lavoratore serio, dovrebbe prevalere
sull'affarismo e sulla presunta sapienza dei vip Leonardo e
Maldini che non hanno incoraggiato il loro compagno.
Con l'Inter in Champions a spese dell'Empoli s'è chiuso il
campionato in alto e in basso. Ho sentito i cronisti esaltarsi per
la bellezza del gran finale. Forse non lo sanno o glielo vietano:
la contemporaneità delle partite ha fatto spettacolo. Come un
tempo. Così voglio ricordare anche un altro penoso dettaglio da
Calciobusiness: la VAR di Reggio Emilia ha fatto ridere,
trasformando un colpo di mano di Zapata in un tocco di mento. Per
carità, l'Atalanta ha meritato il successo, poteva conseguirlo
senza un arbitraggio infelice. Ricorderemo questo campionato come
uno dei più buffi, tragicomici, a partire dalle recite di
Spalletti che ha voluto chiudere il campionato come il vero
protagonista di un film all'italiana, tipo "Amici miei" tutto
toscaneggiante, dunque evocando lo stesso Allegri che esce di
scena come uno sconfitto. Colpevole di aver vinto
cinque-scudetti-cinque. Ma che calcio è, questo?