LIBERATI DAL LOCKDOWN, ATMOSFERA QUASI NATURALE

La liberazione dal lockdown, il diktat del 9 marzo che sanciva il “tutti in casa”, ci ha riportato a un’atmosfera quasi naturale: si sprecano le sensazioni positive registrate dopo il primo caffè al bar, dopo il ritorno al ristorante dell’amico che ti ha chiamato, “fammi un piacere, vieni a trovarmi con tua moglie, ti metto a tavola come si deve, mi fai un pò da richiamo, qui hanno tutti paura della scomodità e del rincaro dei prezzi, vieni, ho bisogno di testimonial con un sorriso, qui è pieno di gufi…”. Poi, finalmente una passeggiata libera (rigorosamente a un metro) con gli amici che frequentavi prima e che adesso ci stanno a far quattro chiacchiere in libertà; in fondo, è vero che il cellulare ci ha aiutato a non perderci ma i discorsi viaggiavano col freno a mano, come se qualcuno potesse ascoltarci, giudicarci, multarci…
Ricordo un passaggio fondamentale dalla guerra alla pace, settantacinque anni fa, quando in famiglia gli adulti erano tormentati dall’avviso “taci, il nemico ti ascolta “che era scritto anche sui muri, al “chi l’ha visto?” della “Domenica del Corriere” e della “Tribuna illustrata” del dopo liberazione che aiutavano – come oggi, peraltro – a ritrovare famigliari o amici perduti: mandavi un messaggio, il giornale lo pubblicava, qualcuno rispondeva. Ed era festa. Il cellulare ha ridotto quasi a zero le sparizioni, anzi, c’è il fiero sospetto che qualcuno abbia approfittato della pandemia per scappare. Una volta usava “vado a prendere le sigarette “, e addio senza ritorno. Con i miei amici abbiamo fatto il punto: non manca nessuno, neanche nel senso peggiore, tutti vivi e presenti se Dio vuole.
Uno mi dice – a un metro di distanza, tavolini all’aperto: “Ci vorrebbe più demagogia”. Ascolto stupito. “Dico davvero, più demagogia. Bisogna dire le cose come stanno a quelli che non hanno capito cosa sta succedendo. Ai tuoi amici del calciomercato, ad esempio. C’è in giro una miseria nera e ascolto e leggo storie di quei poverini che hanno paura di tornare a giocare ma non hanno vergogna a parlare di ingaggi. Milioni qua, milioni là…Credi che sia decoroso il racconto delle pene di Ibra, no ai milioni del Milan ma forse sì a quelli del Bologna, e c’è chi sta in pena per lui o teme che voglia tornare in Svezia. Dillo, scrivilo che in Svezia non gliene frega niente a nessuno, dei suoi presunti ideali, dei suoi capricci, dei suoi milioni; hai visto come sono sensibili, gli svedesi? Quasi come gli austriaci…”.
Un pò di demagogia. Forse ha ragione il mio amico, forse è una pura questione linguistica. Il demagogo in politica è quello che sta nel partito contrario al tuo; si legge da due parti, come fosse un ossimoro. E’ come quando dici criticando “ma questo è un luogo comune” e non ti rendi conto che è verità, anzi: il vero. E dunque lasciatemi fare ufficialmente il demagogo (chissà quant’altre volte l’ho fatto dichiarandomi liberale, anzi libertario, anzi rivoluzionario), asciate che chieda di abbassare i toni – vagamente idioti, quelquefois – del calciomercato permanente, milioni milioni milioni, anzi un miliardo come se fossimo, sempre, il Paese del Signor Bonaventura. Un pò di decenza, per favore. E se proprio ci sono ancora, tanti soldi, datene anche a chi ne ha bisogno. La tessera del tifoso? Temo che stiamo tornando, come nei Quaranta, alla tessera del pane. Il prossimo gol? Siate generosi con chi ha fame. Firmato: il Demagogo.

Vuoi pubblicare i contenuti di Italpress.com sul tuo sito web o vuoi promuovere la tua attività sul nostro sito e su quelli delle testate nostre partner? Contattaci all'indirizzo [email protected]