Vincenzo Pirozzi è un attore, uno sceneggiatore e uno dei registi di “Un posto al sole”. Ma è anche il figlio di Giulio Pirozzi, boss della Camorra. “Fino a qualche anno fa – racconta – io non interessavo come Vincenzo Pirozzi giovane attore e giovane regista. Interessavo più come Vincenzo Pirozzi che ha scelto di fare il regista e l’attore, però è figlio di una persona che è in carcere con un ergastolo sulle spalle e che da venti anni vive al 41 bis. Per tanto tempo si è parlato di me solo come del ‘figlio di Giulio’ e i giornalisti mi chiamavano solo per parlare di questo anziché di me e del mio percorso professionale”. Questa una delle testimonianze di “Figli dei boss”, libro del giornalista Dario Cirrincione che racconta uno spaccato dell’Italia poco conosciuto: i figli dei capiclan, di tutti i clan. Il volume, con la prefazione di Calogero Gaetano Paci (procuratore aggiunto di Reggio Calabria) e la postfazione di Alessandra Dino (sociologa all’Università di Palermo) è stato presentato stamani presso il Liceo Classico “Vittorio Emanuele II” di Palermo per iniziativa del Centro studi Pio La Torre (cui saranno devoluti in beneficienza i diritti d’autore del libro), delle Librerie Paoline e dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia.
Nel volume tante storie: da quella inedita di Vita Maria Atria, nipote della testimone di giustizia Rita Atria e figlia del mafioso Nicola Atria e dell’onorevole Cinquestelle Piera Aiello, prima donna testimone d’Italia, a quella di Tommy Parisi, cantante e figlio del boss pugliese Savino Parisi; da quella di Francesco Tiberio La Torre (arrestato dopo il rilascio dell’intervista), figlio di Augusto La Torre, capo dell’omonimo clan camorristico di Mondragone ai “figli dei boss tra i boss”, quelli dei Riina e dei Provenzano, che hanno scelto di continuare per la strada criminale intrapresa dai genitori.
“Molti dei ragazzi protagonisti di questo libro – spiega Cirrincione – non sono solo ‘figli di’ ma hanno un nome e cognome, una identità. Le loro storie sono quelle di ragazzi che amano la propria vita e che invece sono considerati dei fantasmi. Per molti, essi non esistono, non vivono una vita loro, non sognano; e per i pregiudizi della gente hanno festeggiato i compleanni da soli o non possono vivere storie d’amore”.
“Da Carmela Iuculano che nel 2010, per amore dei figli, trovò il coraggio di ribellarsi al marito e al clan mafioso dei Rizzo diventando una pentita ai più recenti esempi di Piccirillo a Napoli che rinnega il padre camorrista sono sempre più frequenti gli esempi di ribellione interna alla mafia. Il passaggio generazionale che è necessario avvenga nella lotta antimafia auspichiamo avvenga anche nella mafia”, dice Vito Lo Monaco, presidente del Centro Studi Pio La Torre. “Oggi la struttura della mafia è cambiata, dalla mafia delle stragi è diventata mafia affaristica. Con essa è mutata anche la percezione che è cresciuta non solo tra i giovani studenti ma anche all’interno della mafia stessa, come dimostra il recente caso della famiglia di Pioppo che ha denunciato il conduttore Giletti che li aveva accusati di essere mafiosi. Un tempo sarebbe stato ritenuto un ‘onore’, adesso, per fortuna, è un’infamia da denunciare”.
“I figli di esponenti delle organizzazioni criminali che vogliono distaccarsi dal mondo mafioso che li circonda – spiega Alessandra Dino – vivono una posizione scomoda, la sensazione di non trovare mai un riconoscimento sociale. A questi ragazzi si richiede di rinnegare la propria appartenenza per essere accettati. Ma non si può fare a meno della propria famiglia per vivere una vita normale. Vi è una terza strada – continua la Dino – che non esclude, ma non collude, con il mondo mafioso, ed è la possibilità di distaccarsi da quel mondo pur mantenendo un legame affettivo con la famiglia. Questo senso di sofferenza e contraddizione non appartiene solo ai ‘cattivi'”.
“È attuale – racconta Giulio Francese, presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia – la vicenda di Napoli con Antonio Piccirillo che prende le distanze dal padre raccontando la vita infernale dei figli di camorra che si devono scontrare con la realtà di essere figlio di un boss ma rifiutando quel mondo. Piccirillo propone a chi vive la sua stessa situazione una strada alternativa: lui fa un lavoro onesto e ha affetto, ma non stima, del padre e chiede anche agli altri di distaccarsi”.