È racchiusa nel DNA la ragione che rende l’uomo diverso dalla scimmia. A spiegare le differenze genetiche tra uomo e scimpanzé è uno studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, coordinati dal professor Mario Ventura e da diversi centri di ricerca americani, che ha individuato le sequenze genomiche che possono dare indicazioni di ciò che ci ha resi umani. La ricerca, pubblicata dalla prestigiosa rivista Science, ha individuato molte nuove ed entusiasmanti differenze tra il DNA dell’uomo e quello dei primati, molte di più di quelle finora conosciute.
Sono stati rinvenuti, infatti, circa 18000 frammenti di DNA che rendono l’uomo diverso dallo scimpanzé, molti dei quali contengono geni o ne alterano le regioni regolatorie. Molti dei geni scoperti, sono espressi specificatamente durante lo sviluppo del cervello umano e per tale motivo rappresentano gli elementi candidati a spiegarne l’enorme complessità: un importante passo avanti nello studio della straordinaria tipicità e complessità dell’essere umano.
“Quello che abbiamo fatto – ha spiegato il professor Ventura – è stato sequenziare de novo, in modo assolutamente indipendente dall’uomo, il genoma di scimpanzé, di orango e abbiamo confrontato questi genomi con il genoma umano per vedere quali fossero le differenze, perché – ha continuato – quello che noi vorremmo fare è capire come si è evoluto il genoma umano”. Parecchi, per il professore sono stati i risultati interessanti.
“Molti geni che sono espressi nello sviluppo del cervello – ha detto – sono uomo-specifici. Abbiamo iniziato ad avere un’idea di cosa ci rende davvero umani. Un messaggio importante – ha aggiunto – che viene ulteriormente ribadito dal lavoro che è stato fatto. Sia lo scimpanzé che l’uomo rappresentano la linea finale delle loro storie evolutive. Ovvio che tutti deriviamo da una grossa popolazione comune da cui poi noi ci siamo differenziati. Ovviamente – ha spiegato il professor Ventura – è estremamente importante e interessante capire quali sono queste differenze e questa è stata una prima evidenza di notevole interesse”.
Ventura ha spiegato qual è stato il punto di partenza della ricerca: “Sicuramente l’interesse ormai estremamente diffuso nel cercare e per cercare di capire come ci siamo evoluti, cosa ci rende così particolarmente intelligenti, capaci di parlare, così distinti dal resto dei primati così vicini a noi, come lo scimpanzé, il gorilla e l’orango. E poi – ha continuato – riuscire a cercare di capire quali sono gli elementi che portano l’evoluzione, perché ciò che porta evoluzione è anche quello che porta malattia genetica. Quindi – ha ribadito Ventura – riuscire a capire ciò che ci ha fatti evolvere è un tassello in più per capire cosa può provocare una malattia genetica.
Adesso – ha chiarito – noi abbiamo 50 elementi, quelli che sono venuti fuori e sono quelli più importanti, sappiamo che l’uomo ne ha di più di scimpanzé e orango e vogliamo capire cosa fanno, perché – ha aggiunto – il punto è che sì il genoma umano è stato sequenziato, ma non di tutti i geni si sa la funzione, quello che fanno. Quindi- ha continuato – adesso focalizzeremo il nostro interesse su tutti questi geni e non sarei sorpreso se alcuni di questi possano essere correlati anche a patologie genetiche che danno una riduzione del quoziente intellettivo, o disordini più complessi – ha concluso – dal punto di vista del quoziente intellettivo”.
“I nostri ricercatori di genetica e di biologia – ha detto il rettore dell’Università, Antonio Uricchio – sono sempre stati particolarmente apprezzati e anche attraverso i lavori scientifici sono già apparsi più volte sulle riviste scientifiche di valenza internazionale. La ricerca di oggi – ha continuato – ha subito meritato l’attenzione da parte delle istituzioni scientifiche e del mondo accademico internazionale, perché evidenzia – ha spiegato Uricchio – le prospettive nella valorizzazione dei risultati di questa attività di ricerca.
“Quindi, poter attraverso la ricerca genetica, stabilire legami nella linea dell’evoluzione o più in generale anche nel rapporto fra mondo animale e mondo umano è particolarmente significativo con riferimento in particolar modo, a una specie animale che presenta numerosi elementi anche di contiguità rispetto alla specie umana – ha concluso Uricchio -. E’ una ricerca quindi particolarmente meritoria, di cui siamo orgogliosi e fieri. E anche particolarmente interessati – ha concluso – per gli sviluppi che questa attività di ricerca può avere nel prossimo futuro”.