Bella e dannata. Tradizione ribelle. Una carezza e un pugno, direbbe Adriano. La Lazio è un ossimoro. No, non è schizofrenia. È un tormento storico, inesauribile, che è finito per diventare la sua immagine permanente, spesso trascinata nel fango della violenza, sempre ripulita e assolta da quel tocco celestiale che centovent’anni fa ereditó dalla Grecia Olimpica. È antica ma ha una storia costantemente ravvivata dalla cronaca, nera o rosa che sia, e anzi lá dove c’è il nero, luttuoso o politico, c’è la sua anima contestabile ma immanente. Uno dei pilastri della Lazialitá, Renzo Nostini, fiorettista olimpico (ma anche premiato nel nuoto, nel pentathlon moderno, nel rugby, presidente per anni della Polisportiva Lazio) mi confidava in amicizia ch’era colpa o merito del calcio se l’immagine fondativa veniva spesso offuscata. Ma ne reclamava, sempre e con forza, l’italianità d’anima e di stile. Come dire che se Simone Inzaghi, ottimo tecnico fortunatamente (per lui e per la Lazio) mai scoperto dai grandi club, fa giocare la squadra “all’italiana” un motivo c’è: si fosse seduto sui troni della Juve, dell’Inter o del Milan i filosofi e gli estetisti lo avrebbero massacrato. Adesso devono sopportarlo. Augurandosi che non vinca lo scudetto. A parte le belle parole, i paroliberi non hanno mai gradito i successi laziali troppo “politici” anche sul campo.
Vi racconto una storia inedita. Nel 1962, poco più che ventenne, scrivevo su un quotidiano romano, Telesera, diretto da un bravo bolognese, Mario Bonetti, che un giorno mi chiamò per dirmi ch’era cambiato editore, in sostanza tutto: “Si chiama Ernesto Brivio, lo chiamano ‘l’ultima raffica di Salò’. Ci capiamo…”. Non mi disse ch’era anche presidente della Lazio, forse l’unica nota seria di un personaggio che girava per via Veneto con un leoncino al guinzaglio (sempre meglio…portabile di un’aquila), vantava origini fasciste ma anche una milizia cubana a fianco del dittatore Fulgenzio Batista che non gli impedí di ammirare Che Guevara. Al giornale fece molti danni (me ne andai quando cominciò a pubblicare in prima pagina annunci personali tipo “il generale Taldeitali è atteso domani alle 13 nel mio ufficio”) alla Lazio portò Juan Carlos Lorenzo, Il bomber Rozzoni detto “Orlando Furioso” e un po’ di soldi che – ci teneva a precisarlo – vinceva alla roulette. Quando “pieno e cavalli” non risposero più saltò per aria e fuggí all’estero. Non ricordo dove. Piú o meno in quel tempo conobbi Tommaso Maestrelli che allenava al Sud e mi stupii, una decina d’anni dopo, quando fu chiamato a guidare la Lazio nonostante il passato di partigiano che non gli impedí di guidare giocatori di segno contrario con i quali vinse nel ’74 uno scudetto fantastico.
Nella sana follía della Lazio ci sta tutto, anche l’epica baraonda economica di Sergio Cragnotti che, a differenza di Brivio, i soldi per la Lazio li trovó nei pomodori e nel latte, finendo tuttavia nei guai come lui: peró non fuggí all ‘estero ma a Montepulciano ed è ancora amatissimo dai laziali che gli devono uno scudetto bellissimo.
Ci sta, nella Lazio, anche Claudio Lotito, del quale potrei scrivere pagine, anche d’encomio, senza piacergli. È un mio vanto. E tuttavia sono stato fra i pochi, al suo ingresso nel calcio, ad applaudirlo. Prima per la riforma del tifo che gli è costata la damnatio degli ultrá, poi l’abilitá amministrativa e gestionale che mi ha fatto dire di lui ch’era il miglior presidente, naturalmente anche per aver scelto un dirigente come Tare, non costretto all’ubbidienza cieca, pronta, assoluta. Ha un grande difetto, Lotito: parla di calcio non avendone la necessaria competenza. Quando ha definito “casuale” lo scudetto di Lenzini e Maestrelli, di Chinaglia, Wilson, Martini, D’Amico, Re Cecconi (da ricordare con una preghiera, come il tifoso Paparelli) e degli altri “eroi” ha sottratto alla Lazio uno dei momenti piú belli della sua storia.
LAZIO BELLA E DANNATA
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