Io ho Ronaldo, gioca sempre, supero qualche crisi e con lui vinco comunque – dice Allegri. E rallegro i bambini.
Io ho Mertens – dice Ancelotti – e continuo a inseguirti anche se pareggio con la Roma come tu col Genoa.
E il confronto continua. Nella bruttezza. La Signora più è brutta più fa paura. È una strega. È questa la forza che supplisce a quella mancanza di bellezza invocata dagli esteti dell'ultima ora, quelli che non hanno mai visto giocare non dico Meazza e Piola, e neanche Boniperti e Valentino Mazzola, ma neppure Platini e Maradona. E che ora assistono alle ridenti prodezze di Cristiano Ronaldo e fuggirebbero lontano. Fino in Patagonia. Ogni esempio italiano facessi sarei accusato di scorrettezza geografica. O sociale.
Il calcio che iersera ho visto giocare da Napoli e Roma era di un altro mondo, senza morsi, al massimo calcioni. Un mondo dove non si gioca calcio con alta espressione tecnica e furbe trame tattiche. Se solo dopo un'ora la squadra di Ancelotti ha trovato un minimo registro per i suoi assalti lo deve a Mertens, mobile quanto serviva per scivolare fra gli omoni giallorossi, la miglior forza espressa da Di Francesco.
Ancelotti stavolta ha sbagliato a non spender subito Mertens che comunque s'è visto annullare due gol, prova che almeno lui cercava il pareggio. Finché l'ha trovato, al 90', per mantenere vive le speranze di scudetto. Ma quanti errori, quanto rara l'intesa che gli azzurri hanno saputo mostrare più volte in passato, segreto dei loro successi, ieri sera smarrita prima per indolenza poi per affanno.
Solo l'Inter di un anno fa mi aveva fatto contare una cinquantina di errori tecnici, voglio dire passaggi sbagliati, palle perse, intese sballate, palloni alle stelle salvo quello di El Shaarawy che entra al 14'e costringe il Napoli a una caccia innaturale e velleitaria visto che si proietta all'attacco fino all'area di porta anche Koulibaly che oggi non è fisicamente e psicologicamente il guerriero che sconfisse la Juventus sei mesi fa. È certo – dico per inciso – che la Roma, perduto Alisson, ha trovato in Olsen un portiere miracoloso. Accompagnato da un apparato difensivo che definire catenaccio è un palliativo e tuttavia gestito con intelligenza, come se a lungo provato. Di Francesco rischiava la panca, Ancelotti la rincorsa alla Juve. Ne riparleremo.