Non è da tutti aver paura del Coronavirus, non lo teme il fantasioso “Bo Jo”, il premier britannico che ha consentito ancora fino a ieri il prosieguo a Londra del torneo preolimpico europeo di pugilato – al quale ha dovuto rinunciare all’ultimo minuto Clemente Russo per un’indisposizione – cominciato alla Copper Box Arena e che era destinato a proseguire fino al 24 marzo, nonostante l’opposizione di chi, come il presidente della federazione boxe italiana, Lai, tremasse all’idea di un pugile positivo. Della stessa idea il presidente del CONI, Malagò, le cui parole sono state poi finalmente accolte a gare in corso. “Abbiamo la nostra Giordana Sorrentino nei quarti dei 51 chilogrammi a Londra, a giocarsi la qualificazione al torneo olimpico di Tokyo. Vi sembra normale? La boxe è uno sport estremamente di contatto, è vero che gli atleti sono lì da tanto tempo ma è surreale che i Paesi interpretino il nostro mondo in maniera così differente e non lo trovo giusto”. Ma succede. Cosa fare?
Io sto rivedendo vecchi film per crearmi un diversivo. Sono ottimista ma soprattutto gli happy end alla Frank Capra, palermitano di Bisacquino, mi portano in un mondo diverso da questo. Non erano rose e fiori, nel primo dopoguerra, ma era anche un mondo senza frontiere, aperto e solidale che da quei film, nati in un periodo di pace, ricavava una spinta a vivere e a costruire. Frank li aveva girati subito dopo la tremenda crisi del ’29, quando nella mia Rimini era caduta la piu’ grande nevicata del secolo, rammentata da Fellini in “Amarcord”, mentre a New York la gente tradita da Wall Street cadeva dai grattacieli. Ricordava Frank, l’esule da una terra che oggi e’ costretta, al contrario, a chiudersi:”Quando partimmo da Palermo e arrivammo nell’oceano aperto, era una cosa cosi’ meravigliosa che tutta la memoria precedente era scomparsa”. Cosi’, al vertice della sua opera, “La vita e’ meravigliosa”, con James Stewart e Donna Reed, uno dei primi film che vidi nel dopoguerra. Di quei tempi erano anche le storie di uno sport che aveva consacrato nel mondo un eroe italiano, Primo Carnera, il “Gigante buono” di Sequals che, finita la carriera, tornava in Italia dopo aver portato i suoi muscoli e il suo sorriso in giro per il mondo. I critici raffinati spesso lo derisero ma in realta’ aveva trasmesso al suo tempo (nonostante un episodio tragico del ’33) un’immagine della boxe piu’ serena e favolosa di quella che esaltava pura forza o violenza e sofferenza in protagonisti come Paulino Uzcudun, Jack Sharkey, Max Schmeling, fino al Max Baer che lo schianto’ e al Joe Louis che gli fece dare l’addio al ring. Lo stesso “Brown Bomber” che mi fece amare questo sport affascinante fino all’ultimo match di Carlos Monzon.
Nel tempo del Coronavirus suggerirei di fare un’azione di rilancio della boxe ricorrendo non tanto ai film che ha partorito, alcuni bellissimi, quanto al revival di eroi veri come Marcel Cerdan, l’amato da Edith Piaf, e Duilio Loi, Nino Benvenuti, Carlos Monzon, per finire con “The Greatest” Muhammed Ali’. Storia e leggenda per ritrovare il passato e sopportare il presente. Intanto, leggiamo.
LA BOXE RICORRA AL REVIVAL DI EROI VERI
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