“Sarebbe bello non lasciarsi mai ma abbandonarsi ogni tanto è utile, o necessario alla sopravvivenza di animali in estinzione come noi, che non siamo gli alberi, che restano fermi lì”. Per Massimiliano Allegri e la Juventus, dopo cinque anni, è arrivato il momento di separarsi perchè alle volte, come cantava Dimartino qualche anno fa, la volontà di andare avanti insieme non basta e forse la cosa migliore è prendere strade diverse. Cosa si siano detti in questi giorni il tecnico livornese e Andrea Agnelli lo scopriremo probabilmente nella conferenza stampa di domani, quando si presenteranno fianco a fianco, a conferma di un divorzio tutt’altro che traumatico. Riascoltando le parole dei protagonisti nell’ultimo mese, dalla serata amara di Champions del 16 aprile scorso ad oggi, è chiaro che alla fine società e allenatore si sono resi conto di avere visioni divergenti per il futuro. Perchè pochi minuti dopo l’eliminazione per mano dell’Ajax, Andra Agnelli si era affrettato a dire che sarebbe stato Allegri l’allenatore della prossima stagione e il diretto interessato aveva confermato come avesse già dato la disponibilità a rimanere. Ma cosa è cambiato allora?
Qualcosa inevitabilmente si è rotto. Non si spiega altrimenti come ci sia voluto un mese, col discorso scudetto chiuso qualche giorno dopo la serata di Champions, per vedersi e discutere della prossima stagione. Quel “chi vivrà vedrà” pronunciato dal vicepresidente Nedved a proposito della conferma di Allegri era stato più di un indizio e probabilmente le idee del tecnico non hanno stavolta trovato sponda in società. La Juve che l’allenatore toscano ha in testa da sei mesi (ipse dixit) probabilmente non corrisponde a quella di Agnelli e soci, restii forse a tutti quei cambiamenti in rosa che per Allegri sarebbero necessari. E allora, al di là di contratti in scadenza, rinnovi e aumenti d’ingaggio, se non c’è comunione d’intenti meglio chiuderla lì. La Juve cercherà ora un nuovo allenatore, un top (ma gli unici liberi sono Mourinho e Conte che per motivi diversi difficilmente approderanno su quella panchina) o un emergente (si fanno i nomi di Simone Inzaghi e Mihajlovic) mentre nel futuro di Allegri potrebbe esserci l’estero (Psg?) o magari un anno sabbatico. Restano comunque cinque stagioni di grandi successi perchè sotto la guida del tecnico toscano, accolto dai tifosi fra insulti e scetticismo, sono arrivati 5 scudetti, 4 Coppe Italia e due Supercoppe italiane. A questo si aggiungono anche due finali di Champions, l’unico “neo” della gestione allegriana. La Coppa dalle grandi orecchie è ormai diventata un’ossessione per la Juve e sebbene il tecnico ci sia andato vicino come non succedeva dai tempi di Lippi, la società, che in estate gli aveva regalato il colpo Cristiano Ronaldo, si aspettava qualcosa di più del quarto di finale raggiunto quest’anno. In Europa la Juve è cresciuta grazie ad Allegri: finali a parte, perse contro squadre comunque più forti (il Barcellona a Berlino 2015 e il Real Madrid a Cardiff 2017), la formazione bianconera ha vissuto serate da sogno, come la rimonta sull’Atletico o le imprese sfiorate col Bayern di Guardiola o lo stesso Real un anno fa. Ma è mancato l’ultimo step, quello che avrebbe fatto finalmente scattare la scintilla fra Allegri e un popolo juventino che, almeno in parte, non l’ho mai amato fino in fondo. La sua capacità di sdrammatizzare nei momenti difficili, la perfetta gestione di uno spogliatoio con tanti ego, le intuizioni tattiche, la bravura nel far sbocciare talenti come Morata, Dybala o Kean non possono passare in secondo piano.
Allegri in questi anni ha scritto la storia: la sua Juve magari non ha giocato a memoria come il City di Guardiola, non è stata strabordante come il Liverpool di Klopp nè, per restare all’ambito italiano, ha mostrato con continuità l’intensità dell’Atalanta di Gasperini ma i risultati, per un club che del “Vincere è l’unica cosa che conta” ha fatto il suo motto, parlano da soli. In questa sua lunga traversata sulla sponda bianconera del Po, si è dimostrato non un integralista ma un moderno trasformista, un sarto capace di cucire il vestito giusto per ogni partita, utilizzando al meglio le stoffe a disposizione. Non è mai rimasto ancorato a un dogma: dal passaggio al 4-3-1-2 con Vidal trequartista alla sua prima stagione, al ritorno al 3-5-2 per una Juve che aveva bisogno di sicurezze, poi il 4-2-3-1 che l’ha portato a un passo dal Triplete e infine il 4-3-3 che ha caratterizzato le ultime due annate dove comunque sono stati frequenti i cambi in corsa, ora per tornare alla difesa a tre, ora per un 4-4-2 mobile. Dalla prossima stagione, però, niente più “allegrate”: la Juve cambia, Max saluta ma uscendo dalla porta principale.