“A mio modo di vedere le parole chiave in questo momento sono due: liquidità e velocità”. Questa è stata la filosofia con cui Luca Severini, a capo della direzione di Intesa Sanpaolo che comprende Toscana e Umbria, ha affrontato la pandemia di questi mesi. Da dove siete partiti?
“Dalla liquidità che è un tema trasversale – dice in una intervista all’Italpress -, per cui abbiamo lanciato come banca una proposta di un finanziamento a 18 mesi meno un giorno, con 6 mesi di preammortamento. Con questa formula abbiamo già erogato 3.500 finanziamenti, di cui 3000 in Toscana e 500 in Umbria, per un ammontare complessivo 500 milioni, 440 milioni in Toscana e 60 milioni in Umbria. Poi abbiamo avviato 22.000 moratorie sui mutui e prestiti, 18.000 in Toscana e 4.000 in Umbria, per un capitale residuo di finanziamento pari a 2,7 miliardi. Grande impegno anche sul fronte dei finanziamenti fino a 25.000 euro con 9.000 operazioni in tutto, 6.700 in Toscana e 2.300 in Umbria, per un importo di 160 milioni. Infine, per quanto riguarda i finanziamenti fino a 72 mesi, sono in fase di perfezionamento 220 operazioni, per un valore di 350 milioni, e 10 operazioni con la garanzia di Sace, che da sole valgono 80 milioni”.
Una situazione di emergenza accompagnata da modalità operative inedite, o quasi. Doppia sfida da vincere? “Di tutte le operazioni che ho appena elencato, l’88% è stato gestito e finalizzato in remoto. Ci siamo mossi in una logica commerciale ma anche pratica e di aiuto, in modo proattivo. Questo ci ha consentito di agganciare il cliente chiamandolo noi per primi, a quel punto sono tornati per gestire le opportunità più complesse che sono via via emerse, aggiungendo magari un altro finanziamento, particolarmente vantaggioso. Tutto ciò è avvenuto anche perché in queste due regioni abbiamo una storia importante, siamo il condensato di sette ex casse di risparmio e siamo quindi di gran lunga la banca di riferimento. Abbiamo una quota del 22% sulla raccolta totale e del 21% degli impieghi, tramite 480 punti operativi – di cui 380 in Toscana e 100 in Umbria – complessivamente nella nostra direzione regionale lavorano 4.300 colleghi che gestiscono 53 miliardi di prodotto bancario lordo, 33 miliardi di depositi e 20 miliardi di impieghi che fanno capo a 1.150.000 clienti”.
In questi due mesi che andamenti avete registrato nei flussi economici? “Gli investimenti non si sono mai fermati, c’è stato un logico e fisiologico rallentamento. Anche per questo, sui depositi, registriamo una forte crescita. Per noi il tema vero adesso è dare la giusta consulenza ai clienti, anche quelli che hanno la tendenza a lasciare i soldi sul conto”. Passiamo alla parte scura della Luna. Comincerei dal turismo, che lancia segnali drammatici. Vi preoccupa? “Certamente, il turismo è impattato da due elementi: da un lato il calo delle presenze, dall’altro la riduzione della capacità di spesa delle persone. Si tratta di un comparto che vale 9 miliardi di euro tra Toscana e Umbria, e funziona a circuiti che comprendono tutto il territorio, chi va a Firenze passa anche da Siena, Arezzo, Lucca, Pisa e magari la Versilia, c’è poi il mondo delle terme, Assisi e le città dell’Umbria. Una settimana fa come banca abbiamo stanziato un plafond turismo con concessioni di nuovo credito per due miliardi euro, tramite finanziamenti a 72 mesi e 36 mesi di preammortamento e con la possibilità di richiedere moratorie fino a 24 mesi per i finanziamenti già in essere. E’ una risposta forte”.
Passando all’analisi delle imprese, cosa vi chiedono? “L’atteggiamento è molto variegato in funzione delle dimensioni. Il tema trasversale è quello della richiesta di liquidità. Detto questo, noi dobbiamo distinguere quelle grandi sopra 150 milioni di fatturato annuo, che stanno affrontando con maggiore convinzione alcuni temi come innovazione, digitalizzazione e sicurezza dell’ambiente di lavoro. Le imprese medie, con fatturato da 2,5 a 150 milioni, richiedono consulenza e condivisione su scenari e prospettive in termini economici e finanziari. Le piccole fanno richiesta di finanziamenti veloci. C’è però un aspetto trasversale. Il coronavirus ha fatto emergere l’importanza delle filiere, tra Toscana e Umbria abbiamo attivato 63 contratti filiera, con mille aziende fornitrici. Se la capofila è trainante, consente alle pmi fornitrici di affrontare con maggiore serenità la crisi sapendo che ripartiranno il prima possibile. Per stare insieme in questo modo ci vuole una cultura, non è un distretto, ecco perché queste filiere sono state in grado di una maggiore tenuta per le piccole imprese che sicuramente al di fuori da questo sistema avrebbero avuto maggiori difficoltà”.
E poi c’è chi non ha chiuso, e quindi sta meglio? “Ci sono vari settori che hanno continuato a lavorare, come il farmaceutico tra Siena, Pisa e Firenze. C’è il biomedicale, l’alimentare, il comparto della sanificazione e pulizia a Lucca. Ma anche per loro restano due emergenze: quella economica e quella sanitaria, che sono fortemente interconnesse. Potremo dire di esserne fuori da questa fase solo quando saranno ripresi gli interscambi con l’Estero, l’export vale sui 465 miliardi nazionali, 40 miliardi in Toscana e oltre 3 miliardi in Umbria. Se non si supera l’emergenza sanitaria, i problemi sotto questo aspetto rimarranno, questa situazione sta generando incertezza. La gente è più calma, più riflessiva, anche in Toscana. Non sono meno fiduciosi ma c’è maggiore riflessione”.
La Fase 2 che segnali sta lanciando? “Il primo passaggio forte è l’aspetto organizzativo, intendo dire anche in termini di maggior sicurezza dell’ambiente di lavoro. E’ emersa la necessità di una diversa organizzazione. In questo momento vedo nella testa degli imprenditori anche la voglia di guardarsi intorno per fare qualche acquisizione all’estero per crescere, una volontà di apertura ad altre opportunità in Europa e fuori dall’Europa. Tutto questo sempre ricordando che il mondo sarà d’ora in poi più complicato, quindi competenze e conoscenze possono fare la differenza. Ma, a mio modo di vedere, come paese Italia siamo più pronti di quello che magari pensiamo”.