Un miliardo e mezzo di ragioni per investire nella Zona Economica Speciale della Campania, l’area a regime fiscale agevolato che coinvolge i maggiori porti della regione. A tanto ammonta il plafond messo a disposizione da Intesa Sanpaolo per le aziende export-oriented che si vorranno affacciare sul Golfo di Napoli a investire nella riqualificazione e nel rilancio del settore manifatturiero meridionale nella matassa dei flussi commerciali internazionali. Un fondo, quello presentato nella sala convegni di Intesa Sanpaolo, che è figlio dell’accordo dello scorso dicembre tra la sua controllata, Banco di Napoli, e l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale e che permetterà agli imprenditori di usufruire di servizi di consulenza per l’elaborazione dei piani di investimento e di sostenere la riqualificazione e il potenziamento delle strutture connesse all’area portuale. Il tutto a beneficio anche del territorio, dove ci si aspetta una crescita tanto dell’economia quanto dell’occupazione. L’intenzione è quella di “presentare alle aziende del centro e del nord Italia, dopo averlo già fatto con quelle campane, le opportunità in termini fiscali, amministrativi e doganali – afferma Francesco Guido, direttore generale del Banco di Napoli – perché, per un Paese come l’Italia, proiettato verso l’esportazione, parlare di globalizzazione non ha nessun significato se noi siamo vittime e non artefici di questo fenomeno”.
Istituite in Italia a agosto 2017, le Zes sono alcune aree portuali del Mezzogiorno interessate dai traffici commerciali transeuropei, dove le aziende possono godere di benefici fiscali dovuti al credito d’imposta sugli investimenti per l’acquisto di beni strumentali, purché effettuato entro il 31 dicembre 2020, nella misura massima di 50 milioni di euro. Al maxi-sconto fiscale si aggiungono procedure semplificate per adempimenti burocratici e per l’accesso alle infrastrutture. Fondamentale sarà poi l’appoggio degli enti pubblici territoriali e locali, che dovranno contribuire a snellire le pratiche amministrative per le imprese. Unica condizione, la permanenza dell’attività all’interno della Zes per almeno sette anni, mentre non sono previsti limiti per dimensione o fatturato dell’azienda. “L’esperimento delle Zone Economiche Speciali – spiega ancora Guido – oggi parte nel sud con tre aree, quella di Napoli, di Bari e di Taranto, ma solo la prima è già operativa”.
“In altre nazioni le Zes hanno rappresentato un grande volano di sviluppo che può essere misurato sia in ottica di convenienza individuale che in prospettiva di sistema economico complessivo” sottolinea Teresio Testa, responsabile Direzione Sales&Marketing Imprese di Intesa Sanpaolo. In effetti, si tratta di un fenomeno in crescita a livello globale, con oltre 4.500 Zone Economiche Speciali in 135 Paesi. Numeri impressionanti se si considera che, nel 1975, erano appena 79 in 25 nazioni.
“È un format di successo per attirare investimenti usato in tutto il mondo – sottolinea Pietro Spirito, presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale -. L’Italia si incammina su questo sentiero e ora si deve ripartire con strumenti nuovi di politica industriale: non più un supporto finanziario tattico, ma un progetto strategico che guardi al futuro di un Mezzogiorno capace di fare manifattura nel ventunesimo secolo”.