FIRENZE – Si chiama “infermiere di famiglia e di comunità” la nuova figura professionale che fa il suo ingresso nella sanità toscana. Un infermiere che esce dall’ospedale e segue il paziente al suo domicilio, in famiglia, nella sua vita quotidiana, in stretta collaborazione con tutti gli altri professionisti impegnati nel percorso assistenziale. Con l’obiettivo di intercettare e addirittura prevenire i suoi bisogni di salute, evitare ricoveri inutili, favorire la deospedalizzazione, presidiare l’efficacia dei piani terapeutico-assistenziali, supportare la famiglia e in sostanza migliorare la qualità di vita della persona nel suo contesto di vita.
La delibera che prevede la fase pilota dell’avvio di questo nuovo modello è stata approvata dalla giunta nel corso di una delle ultime sedute. Oggi l’assessore al diritto alla salute Stefania Saccardi l’ha illustrata nel corso di una conferenza stampa, assieme a Paolo Zoppi, direttore del Dipartimento infermieristico Asl Toscana centro, e Danilo Massai, presidente dell’Ordine degli infermieri di Firenze e Pistoia, in rappresentanza di tutti gli Ordini della Toscana.
“L’invecchiamento della popolazione e il conseguente incremento delle malattie croniche, e quindi la necessità di aiutare le persone a vivere nel proprio domicilio il più possibile, garantendo un aiuto nella vita di tutti i giorni – ha detto Stefania Saccardi – è un obiettivo fondamentale del modello di cure primarie promosso dalla Regione Toscana. L’ambito domiciliare è il contesto preferenziale in cui perseguire gli obiettivi di salute dei singoli e delle famiglie. In assenza di un sistema di cure così concepito, infatti, l’ospedale diventa spesso l’unico punto di accesso al sistema sanitario, con conseguenze negative per la qualità di vita degli assistiti, che potrebbero e preferirebbero essere curati a casa, e problemi organizzativi per la congestione delle attività ospedaliere”.
“L’infermiere di famiglia e di comunità – chiarisce Paolo Zoppi – è un infermiere di riferimento, una guida nei percorsi di salute, un facilitatore, un orientamento. Il rapporto fiduciario, certo, resta quello con il medico di famiglia, ma ora il cittadino avrà un riferimento in più”.
“Da anni chiediamo di adeguare questa figura su tutto il territorio nazionale – fa sapere Danilo Massai – Siamo quindi orgogliosi che l’assessore e la giunta regionale abbiano preso questa decisione. E’ un’importante risposta di servizio, di prossimità alla famiglia”.
Da qui la scelta di rafforzare la rete di cure primarie, che sempre più si trova a coordinare l’assistenza di situazioni complesse, soprattutto legate alla gestione di pazienti affetti da più patologie coesistenti e quadri di complessità clinico-assistenziale.
Con questa delibera si lancia un modello assistenziale infermieristico orientato alla famiglia e alla comunità; un modello la cui necessità è considerata centrale da molti anni, a livello nazionale e internazionale, per offrire un contributo chiave nell’ambito delle cure territoriali.
Infermiere di famiglia e di comunità: chi è e cosa fa
Il modello assistenziale “Infermiere di famiglia e di comunità” rappresenta sul territorio l’evoluzione di funzioni professionali già svolte per la salute della collettività che il mutamento dei bisogni socio-sanitari dei cittadini rende necessaria per la qualità delle cure. Il modello è basato su alcuni concetti portanti, tra cui quello della prossimità con la persona, la famiglia e il suo contesto di riferimento sociale: ogni infermiere di famiglia e di comunità opera nel territorio e nella popolazione di riferimento, identificabile di norma nell’ambito delle AFT (Aggregazioni funzionali territoriali) della medicina generale, interagendo con i medici e i pediatri di famiglia e tutte le altre figure professionali coinvolgibili nella presa in carico.
L’infermiere di famiglia e di comunità, in coerenza con il Piano Nazionale Cronicità, cura il monitoraggio dello stato di salute degli assistiti, mediante visite domiciliari, follow up telefonici, telemedicina, in modo da evitare che sia la persona a rivolgersi ai servizi solo quando sono già presenti disturbi o complicazioni; presidia i passaggi di setting assistenziale, con particolare riguardo agli aspetti più critici della continuità delle cure facendosi garante della presa in carico lungo l’intero percorso assistenziale.
L’infermiere di famiglia e di comunità, come risorsa di salute, interviene fornendo consigli sugli stili di vita e sui fattori comportamentali a rischio, intercetta e riconosce in modo precoce i bisogni latenti della popolazione di riferimento, avvalendosi delle risorse della comunità, conosce la rete dei servizi presenti in quello specifico territorio ed è quindi in grado di orientare e facilitare l’accesso appropriato e tempestivo dell’utente a tutti i servizi della rete.
In caso di situazioni complesse, si avvarrà delle consulenze e delle attività infermieristiche ospedaliere o territoriali, a seconda del tipo di bisogno o di percorso di continuità (ad esempio per la gestione delle ferite difficili, le stomie nei pazienti operati o in nutrizione artificiale, la ventilazione ecc..).
Un nuovo modello organizzativo
Questo nuovo approccio spinge l’organizzazione al superamento dell’attuale sistema delle competenze organizzato per “silos”, cioè aree assistenziali limitate alla componente specialistica del singolo bisogno (cure palliative, sanità di iniziativa, cure domiciliari integrate e prestazionali), che ha prodotto la frammentazione dei servizi territoriali e la discontinuità delle cure, verso un modello orientato all’unitarietà dell’approccio e centrato sulla persona e sulla globalità dei suoi bisogni.
Secondo questo modello organizzativo, come espresso, l’infermiere di famiglia e comunità agisce nell’ambito della “sanità di iniziativa”, intesa come l’attenzione proattiva sia al riconoscimento di una condizione di rischio elevato di malattia, che alla gestione della malattia stessa e al monitoraggio per la prevenzione delle complicanze. In questo senso l’infermiere di famiglia assume la funzione di coordinatore dell’assistenza definita dal Piano assistenziale individualizzato definito assieme al medico di famiglia della persona assistita, a partire dai pazienti complessi, garantendo la sorveglianza dell’andamento della salute della persona e della famiglia.
Il pool degli Infermieri di famiglia e comunità è definito tenendo conto delle caratteristiche demografiche ed epidemiologiche del territorio e afferisce alle strutture organizzative del Dipartimento delle professioni Infermieristiche e ostetriche, al quale sono affidate le funzioni di governance dei processi infermieristici.
Tempi e modi di attuazione
La delibera prevede un percorso formativo organizzato nella prima fase a livello regionale, rivolto alla formazione degli infermieri delle zone distretto nelle quali avrà avvio lo sviluppo operativo del modello. La fase pilota di avvio, di durata annuale, sarà condotta in almeno 2 zone per ciascuna azienda sanitaria della Toscana, individuate a livello aziendale.
La delibera regionale prevede inoltre la costituzione di una cabina di regìa tecnica regionale, composta dai direttori dei Dipartimenti delle professioni infermieristiche e ostetriche, dai direttori dei Dipartimenti delle cure primarie e dai rappresentanti legali degli Ordini degli infermieri della Toscana, con funzioni di monitoraggio su avvio e andamento fase pilota, definizione del percorso formativo regionale e identificazione degli indicatori di valutazione di impatto nel SSR del nuovo modello assistenziale.