PALERMO (ITALPRESS/AZSALUTE) – In Sicilia sono in calo i casi di beta-talassemia o anemia mediterranea, ma la malattia continua ad essere diffusa nell’Isola, nonostante la Regione abbia investito risorse umane ed economiche per la ricerca dei portatori sani, allo scopo di individuare le coppie a rischio. La maggiore frequenza della malattia si ha a Caltanissetta e Siracusa, mentre la meno colpita è oggi la città di Messina.
“Da anni la Regione Siciliana pone la massima attenzione a questa patologia, mettendo in campo non solo risorse mirate, ma allineando, con precisione, i percorsi assistenziali alle più aggiornate evidenze scientifiche internazionali. I dati dell’Osservatorio Epidemiologico, dove è attivo un registro specifico, parlano di oltre duemila persone prese in carico nell’ambito dei diversi livelli fenotipici della malattia”, afferma Salvatore Requirez, dirigente generale del Dasoe dell’assessorato della Salute della Regione Siciliana.
“I programmi regionali – aggiunge – seguono due direttive principali: rafforzare la dignità strutturale dei centri specialistici dedicati, e proseguire il contrasto alla storia naturale della malattia, guadagnando sempre più anni e puntando a un’aspettativa di vita quanto più vicina possibile a quella della popolazione indenne dalla malattia”.
Un’indagine di Elma Research, su come vivono la malattia i siciliani, è stata al centro dell’incontro “Strade parallele: il significato del tempo nella beta-talassemia”, organizzato a Palermo, nell’ambito della campagna di sensibilizzazione promossa dalla Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie (SITE) e realizzata col contributo Vertex.
Dalla ricerca è emerso che l’impatto della malattia sulla vita di chi ne è affetto e sui familiari, è fortemente pesante, a partire dal tempo che assorbe alle altre attività.
“La sottrazione del tempo alle attività di svago, di impegno professionale o di studio, di relazione sociale, che i pazienti e i loro familiari vivono ogni giorno deve essere il punto di partenza per pensare o ripensare a comunicazioni, attività e servizi volti a migliorare la qualità di vita dei pazienti”, afferma Raffaella Origa, Presidente SITE.
Di fatto, chi è affetto da beta-talassemia, per sopravvivere, deve ricorrere ogni 2-3 settimane a trasfusioni di sangue, all’assunzione quotidiana di farmaci. A più controlli programmati. Si calcola che in un anno possano rendersi necessari intorno a 25-30 accessi alle strutture ospedaliere, una somma di ore che porta via al paziente oltre un mese di vita all’anno, tempo sottratto alla scuola, allo studio, alla vita professionale, non solo di chi è affetto dalla patologia, ma anche dei familiari.
Un peso non da poco che influisce sulla quotidianità e sul benessere psicologico dei pazienti e dei loro cari.
“La buona notizia è l’allungamento della vita media di questi malati. Una ventina di anni fa, la media si aggirava intorno ai 10 anni, oggi si può parlare anche del superamento dei 50 anni.
“La beta-talassemia, patologia molto diffusa in Sicilia, dove è portatore sano il 7-8% della popolazione, è una condizione genetica con la quale oggi si può convivere, diventare adulti e anziani, grazie a cure sempre più efficaci. In un territorio come quello siciliano, la necessità di terapie quotidiane e le frequenti ospedalizzazioni pesano molto sull’organizzazione di tutta la famiglia. I pazienti, ma anche chi si occupa di loro, hanno difficoltà a pianificare con serenità la propria vita”, sostiene Giovan Battista Ruffo, Direttore dell’Unità di Ematologia e Talassemia dell’ARNAS Civico di Palermo e membro del Consiglio Direttivo SITE.
– foto Carmelo Nicolosi –
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