“Lo sport secondo Papa Francesco”. E’ il titolo del libro in edicola insieme alla Gazzetta dello Sport e in cui viene proposta in versione integrale un’intervista esclusiva concessa dal Papa, una sorta di ‘enciclica laicà sullo sport. Parti dell’intervista sono pubblicate su SportWeek e su La Gazzetta dello Sport. Si inizia da Bergoglio bambino quando andava allo stadio ‘El Gasòmeto’ò e il suo San Lorenzo vinceva il campionato. Era il 1946. ‘Ricordo quelle giornate passate a vedere i calciatori giocare e la felicità di noi bambini quando tornavamo a casa: la gioia, la felicità sul volto, l’adrenalina nel sangue. Poi ho un altro ricordo, quello del pallone di stracci, la pelota de trapo: il cuoio costava e noi eravamo poveri, la gomma non era ancora così abituale, ma a noi bastava una palla di stracci per divertirci e fare, quasi, dei miracoli giocando nella piazzetta vicino a casa. Da piccolo mi piaceva il calcio, ma non ero tra i più bravi, anzi ero quello che in Argentina chiamano un ‘pata durà, letteralmente gamba dura. Per questo mi facevano sempre giocare in porta. Ma fare il portiere è stato per me una grande scuola di vita. Il portiere deve essere pronto a rispondere a pericoli che possono arrivare da ogni parte…E ho giocato anche a basket, mi piaceva il basket perchè mio papà era una colonna della squadra di pallacanestro del San Lorenzò.
Per Papa Francesco lo sport è ‘fatica, motivazione, sviluppo della società, assimilazione delle regole. E poi è divertimento: penso alle coreografie negli stadi di calcio, alle scritte per terra quando passano i ciclisti, agli striscioni d’incitamento quando si svolge una competizione. Trombe, razzi, tamburi: è come se sparisse tutto, il mondo fosse appeso a quell’istante. Lo sport, quando è vissuto bene, è una celebrazione: ci si ritrova, si gioisce, si piange, si sente di appartenere a una squadra. Appartenere è ammettere che da soli non è così bello vivere, esultare, fare festa. E’ curioso, poi, che qualcuno leghi la memoria di qualcosa con lo sport: ‘L’anno in cui la squadra ha vinto lo scudetto, in cui il tal campione ha vinto la tal competizione. L’anno delle Olimpiadi, dei Mondialì. In qualche modo lo sport è esperienza del popolo e delle sue passioni, segna la memoria personale e collettiva. Forse sono proprio questi elementi che ci autorizzano a parlare di fede sportiva”. Papa Francesco ama le storie di sport ‘che non sono fini a se stesse, ma provano a lasciare il mondo un pò migliore di come lo trovanò. E ricorda ‘quando, durante un viaggio apostolico, sono stato allo Yad Vashem a Gerusalemme, mi raccontarono di Gino Bartali, il leggendario ciclista che, reclutato dal cardinale Elia Dalla Costa, con la scusa di allenarsi in bicicletta partiva da Firenze alla volta di Assisi e faceva ritorno con decine di documenti falsi nascosti nel telaio della bici che servivano per far fuggire e quindi salvare gli ebrei. Pedalava per centinaia di chilometri ogni giorno sapendo che, qualora lo avessero fermato, sarebbe stata la sua fine. Così facendo offrì una vita nuova a intere famiglie perseguitate dai nazisti, nascondendo qualcuno di loro anche a casa sua. Si dice che aiutò circa ottocento ebrei, con le loro famiglie, a salvarsi durante la barbarie a cui vennero sottoposti. Diceva che il bene si fa e non si dice, se no che bene è? Lo Yad Vashem lo considera ‘Giusto tra le nazionì, riconoscendo il suo impegno. Ecco la storia di uno sportivo che ha lasciato il mondo un pò meglio di come lo ha trovatò. Fanno parte dello sport la sconfitta e la vittoria. ‘Vincere e perdere sono due verbi che sembrano opporsi tra loro: a tutti piace vincere e a nessuno piace perdere. La vittoria contiene un brivido che è persino difficile da descrivere, ma anche la sconfitta ha qualcosa di meraviglioso. Per chi è abituato a vincere, la tentazione di sentirsi invincibili è forte: la vittoria, a volte, può rendere arroganti e condurre a pensarsi arrivati. La sconfitta, invece, favorisce la meditazione: ci si chiede il perchè della sconfitta, si fa un esame di coscienza, si analizza il lavoro fatto. Ecco perchè, da certe sconfitte, nascono delle bellissime vittorie: perchè, individuato lo sbaglio, si accende la sete del riscatto. Mi verrebbe da dire che chi vince non sa che cosa si perde. Non è solo un gioco di parole: chiedetelo ai poverì.
Papa Francesco parla anche degli allenatori, ne elogia il lavora spiegando che ‘senza allenatore non nasce un campione. Non basta, però, allenare il fisico: occorre sapere parlare al cuore, motivare, correggere senza umiliare. Più l’atleta è geniale, più è delicato da trattare: il vero allenatore, il vero educatore sa parlare al cuore di chi nasce fuoriclassè. Per il Papa ‘tenere ordinato il cuore è il segreto per qualsiasi vittoria, non solo per quella sportiva: il salmista, infatti, chiede a Dio: “Sia il mio cuore integro”(Sal 119,80). Se guardiamo alla storia del talento, ci accorgiamo che tanta gente di talento si è perduta proprio a causa del disordine. Un cuore ordinato è un cuore felice, in stato di grazia, pronto alla sfida. Penso che se chiedessimo a qualche sportivo il segreto ultimo delle sue vittorie, più di qualcuno ci direbbe che vince perchè è felice. La felicità, dunque, è la conseguenza di un cuore ordinatò. Il Santo Padre ricorda che ‘la Chiesa ha sempre nutrito grande interesse verso il mondo dello sport. Possiamo dire che nello sport le comunità cristiane hanno individuato una delle grammatiche più comprensibili per parlare ai giovani. Pensiamo a don Bosco e agli oratori salesiani ma pensiamo a tutte le parrocchie del mondo, anche e soprattutto le più povere, nelle quali c’è sempre un campetto a disposizione per giocare e fare sport. Attraverso la pratica sportiva si incoraggia un giovane a dare il meglio di sè, a porsi un obiettivo da raggiungere, a non scoraggiarsi, a collaborare in un gruppo. E’ un’occasione bellissima per condividere il piacere della vittoria, l’amarezza di una sconfitta, per mettersi insieme e dare il meglio di sè’.
Il genere di sportivo che Papa Francesco apprezza di più è quello ‘cosciente della responsabilità del suo talento, a qualunque sport o disciplina appartenga. Il campione diventa, per forza di cose, un modello d’ispirazione per altri, una sorta di musa ispiratrice, un punto di riferimento. E’ importante che gli sportivi e i campioni abbiano la consapevolezza di quanto una loro parola, un loro atteggiamento, possa incidere su migliaia di persone. Ci sono aspetti molto belli: penso, e colgo l’occasione per ringraziarli, ai ragazzi della Nazionale di calcio che ogni anno con il loro Ct passano, letto per letto, a trovare i bambini nell’ospedale del Papa (il Bambino Gesù), anzitutto nel reparto oncologico. Questo succede anche per altri ospedali e in tante nazioni. Un modo per realizzare i sogni dei piccoli che soffrono. Quando, però, il campione dimentica questa dimensione, perde il bello dell’essere tale, l’occasione per fare in modo che chi lo prende come modello possa migliorarsi, crescere, diventare anche lui campione. Ai campioni auguro di imparare una virtù preziosissima: la temperanza, la capacità di non perdere il senso della misura. Solo così potranno essere testimoni dei grandi valori come l’onestà, la correttezza, la dedizione. Non sono cose da pocò. Papa Francesco parla anche del suo connazionale Diego Armando Maradona. ‘In campo è stato un poeta, un grande campione che ha regalato gioia a milioni di persone, in Argentina come a Napoli. Era anche un uomo molto fragile. Ho un ricordo personale legato al Mondiale del 1986 che l’Argentina vinse proprio grazie a Maradona. Ero a Francoforte, seppi soltanto il giorno dopo del successo dell’Argentina sulla Germania. La ricordo come la vittoria della solitudine perchè non avevo nessuno con il quale condividere la gioia di quella vittoria sportiva: la solitudine ti fa sentire solo, mentre ciò che rende bella la gioia è poterla condividerè.
La Città del Vaticano ha una sua squadra di atletica leggera. C’è, poi, la “Clericus Cup”, una sorta di campionato per gli studenti degli atenei pontifici. ‘Evangelizzare significa testimoniare, nella vita personale e comunitaria, la vita di Dio in noi, quella che ci è stata donata nel Battesimo. Non esistono strategie, non ha alcun senso un marketing della fede: solo quando un uomo o una donna vede un uomo o una donna vivere come Gesù, allora potrà essere affascinato e potrà iniziare a prendere seriamente la proposta del Vangelo. Si evangelizza con il fascino della propria vita che ha il gusto e il sapore delle beatitudini. Le squadre di atletica leggera e la Clericus Cup trovano il senso della loro presenza in Vaticano proprio per testimoniare uno stile evangelico nello sport. E’ un modo anche per fare comunità. Penso alla varietà degli atleti che provengono da amministrazioni differenti: guardie svizzere, giardinieri, farmacisti, dipendenti dei Musei Vaticani, delle Ville Pontificie, preti e forse anche qualche monsignore. Una Chiesa in uscita… sui campi sportivi!’.
Lo sport insegna anche a non arrendersi. ‘La tua resa è il sogno del tuo avversario: arrenderti è lasciargli la vittoria. E’ sempre un rischio: ‘E se avessi resistito un attimo in più?’ continuerai a dirti per chissà quante volte vedendo com’è andata a finire. Poi è anche vero che ci sono giorni in cui è meglio continuare a lottare, altri in cui è più saggio lasciare perdere. La vita assomiglia a una guerra: si può anche perdere una battaglia, ma la guerra quella no! Un uomo non muore quando è sconfitto: muore quando si arrende, quando cessa di combattere. I poveri, da questo punto di vista, sono un esempio spettacolare di che cosa voglia dire non arrendersi. Nemmeno di fronte all’evidenza dell’indifferenza: continuano a combattere per difendere la loro vità. Una delle più grandi piaghe dello sport è il doping. ‘Nessun campione si costruisce in laboratorio. A volte è accaduto e non possiamo essere certi che non succederà ancora! Ma il tempo smaschera i talenti originali da quelli costruiti: un campione nasce e si rinforza con l’allenamento. Il doping nello sport non è soltanto un imbroglio, è una scorciatoia che annulla la dignità. Il talento è un dono ricevuto ma questo non basta: tu ci devi lavorare sopra. Allenarsi, allora, sarà prendersi cura del talento, cercare di farlo maturare al massimo delle sue possibilità. Mi vengono in mente coloro che corrono i 100 metri alle Olimpiadi: per quei pochissimi secondi, anni e anni di allenamento, senza le luci accese. Ogni tanto leggo di qualche grande campione che è il primo ad arrivare all’allenamento e l’ultimo ad andarsene: è la testimonianza che la forza di volontà è più forte dell’abilità. Qui lo sport viaggia di pari passo con la vita: la bellezza, qualunque sia la sua declinazione, è sempre il frutto di una fiammella da tenere accesa giorno dopo giornò.
Il motto olimpico ‘Citius, Altius, Fortius’ per Papa Bergoglio è ‘bellissimo: ‘Più veloce! Più in alto! Più forte!’. Lo attribuiscono al barone Pierre De Coubertin, ma è stato ideato da un predicatore domenicano, Henri Didon. Assieme ai cinque cerchi e alla fiamma olimpica, è uno dei simboli dei Giochi. Non è un invito alla supremazia di una squadra sull’altra, tanto meno una sorta di incitazione al nazionalismo. E’ un’esortazione per gli atleti, perchè tendano a lavorare su se stessi, superando in maniera onesta i loro limiti per costruire qualcosa di grande, senza lasciarsi bloccare da essi. E’ divenuta una filosofia di vita: l’invito a non accettare che nessuno firmi la vita per noì. Papa Francesco parla anche dello sport Paralimpico. ‘Quando vedo di che cosa sono capaci certi atleti, che portano impressa nel loro fisico qualche disabilità, rimango sbalordito dalla forza della vita. Dello sport mi piace l’idea di inclusione, quei cinque cerchi che si inanellano tra loro finendo per sovrapporsi: è un’immagine splendida di come potrebbe essere il mondo. Il movimento paralimpico è preziosissimo: non solo per includere tutti, ma anche perchè è l’occasione per raccontare e dare diritto di cittadinanza nei media a storie di uomini e donne che hanno fatto della disabilità l’arma di riscatto. Quando vedo o leggo di qualche loro impresa, penso che il limite non sia dentro di loro ma soltanto negli occhi di chi li guarda. Sono storie che fanno nascere storie, quando tutti pensano che non ci sia più nessuna storia da raccontarè. Appassionato di calcio, ma non solo. ‘In ogni angolo del mondo, anche in quello più nascosto e più povero, basta una palla e tutto comincia a popolarsi e a sorridere. Forse per questo il calcio fa un pò la parte del leone. Un pò come accade a casa tra fratelli: ce n’è sempre uno che pensa di valere più degli altri! Ma certo il mondo dello sport è una vera e propria costellazione con tante stelle. Io ho giocato anche a basket e mi sta molto simpatico, ad esempio, il rugby: pure essendo uno sport da duri, non è mai violento. La lealtà e il rispetto che ci sono in questo sport spesso vengono presi come modello di comportamento. Penso al “terzo tempo” dopo la partita: tutti i giocatori delle due squadre si riuniscono anche solo per un saluto, una stretta di mano. E’ così che dovrebbe essere: dare l’anima quando si gioca ma, terminata la gara, avere il coraggio di stringere la mano all’avversario. Non è stata una guerra tra nemici, solo un’occasione di competizione tra avversari nel gioco. Quelli che vengono considerati sport minori, certe volte, potrebbero fare delle ‘lezioni di ripetizionè al signor-calciò’. Papa Francesco parla dell’atleta come di ‘un mistero affascinante, un capolavoro di grazia, di passione. E’ facilissimo però trasformarlo in un oggetto, una mercanzia che genera il profitto. Nell’ultima enciclica, “Fratelli tutti”, ho voluto precisare che il mercato, da solo, non risolve tutto anche se la cultura di oggi sembra volerci far credere a tutti i costi a questo dogma di fede neoliberale. Questo accade quando il valore economico detta legge, nello sport come in tanti altri settori della nostra vita. La ricchezza, il guadagno facile, rischiano di far addormentare la passione che ha trasformato un ragazzo qualunque in un fiore all’occhiello. Credo che un pò di fame in tasca sia il segreto per non sentirsi mai appagati, per tenere accesa quella passione che, da bambini, li ha affascinati. E’ triste vedere campioni ricchissimi ma svogliati, quasi dei burocrati del loro sport: facciamo di tutto perchè sia salva la dimensione amatoriale dello sport. Abbiamo visto nei mesi scorsi come la pandemia abbia evidenziato che non tutto si risolva con la libertà di mercatò. Papa Francesco definisce la conversazione con la Gazzetta ‘l’avvio di una enciclica sullo sport’ e ricorda che ‘Ogni quattro anni ci sono le Olimpiadi, con la loro Carta Olimpica. Proprio le Olimpiadi possono fungere da faro per i naviganti: la persona al centro, l’uomo teso al suo sviluppo, la difesa della dignità di qualunque persona. E la parte più bella: ‘Contribuire alla costruzione di un mondo migliore, senza guerre e tensioni, educando i giovani attraverso lo sport praticato senza discriminazioni di alcun genere, in uno spirito di amicizia e di lealtà’. E’ già stato scritto tutto: viviamolo!’. Il santo è il campione della fede. ‘Per me il segreto per desiderare e per vivere la santità è quello di mettersi in gioco. Infatti che cosa fa un giocatore quando è convocato per una partita o un atleta prima di partecipare a una gara? Si deve allenare, allenare e ancora allenare. Ad ognuno Dio ha dato un campo, un pezzo di terra nel quale giocarsi la vita: senza allenamento, però, anche il più talentuoso rimane una schiappa. Ecco: per me allenarmi – e anche un Papa si deve sempre tenere in allenamento! – è chiedere ogni giorno a Dio ‘Che cosa vuoi che faccia, che cosa vuoi della mia vita?’. Domandare a Gesù, confrontarsi con Lui come con un allenatore. E se si fa uno scivolone, nessuna paura: a bordo campo c’è Lui che è pronto a rimetterci in piedi. Basta non aver paura di rialzarsì. Papa Francesco spiega che riesce a non arrendersi mai ‘pregando. Ho bisogno di sapere che gioco in una squadra dove il Capitano ha il diritto di avere l’ultima parola: prego per sapere intercettare al meglio le parole che Lui mi suggerisce, per offrirle al popolo. E poi mi tengo i poveri vicino: quando viene la sera, penso a tutti i poveri che dormono attorno al Colonnato di Piazza San Pietro: la loro resistenza è la mia ispirazione, la loro presenza è la mia protezione. Penso a loro e non mi sento mai solo: dentro quella carne fragile e ferita, Dio si nasconde, anzi si manifesta, per suggerirmi lo schema di gioco vincente. E mi fido di Lui: Lui non si arrenderà mai, nemmeno di fronte alla mia fragilità’. Infine l’augurio di Papa Francesco per l’umanità in questo inizio d’anno. ‘Il mio augurio è molto semplice, lo dico con le parole che hanno scritto su una maglietta che mi è stata regalata: ‘Meglio una sconfitta pulita che una vittoria sporcà. Lo auguro a tutto il mondo, non solo a quello dello sport. E’ la maniera più bella per giocarsi la vita a testa alta. Che Dio ci doni giorni santi. Pregate per me, per favore: perchè non smetta di allenarmi con Dio!’.
(ITALPRESS).
Il Papa e lo sport “Allenare il cuore, il doping annulla la dignità”
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