Quando Jurgen Klopp dice che “il Napoli è la squadra più in forma del mondo” assegna una medaglia – lui può – non solo al Napoli, ma al calcio italiano che da mesi si piange addosso con gli accenti severi dei cosiddetti leader d’opinione e le prese in giro degli scherzevoli opinionisti che hanno risvegliato la tivù pirata del Benigni, quando dalla stalla di Capalle mandava in onda Televacca. Spalletti ha realizzato qualcosa di nuovo, forse il suo annoso sogno trascorso da Roma, San Pietroburgo, Milano, riRoma fino a Napoli dove si era da poco concluso il rito sacrificale dedicato a Carlo Ancelotti, “il più grande”. E non c’è nulla di magico, in questo Napoli, c’è solo un gioco che ha aperto gli occhi anche ai sonnambuli senza fargli correre rischi, anzi, rallegrandoli. Ma non ho sentito dire una cosa che riguarda il flop della nostra Nazionale: Mancini solo in ritardo ha compreso quel che Spalletti – incalzato da De Laurentiis – ha capito subito: cambiare, rinnovare, provando e riprovando come vuole – ispirata da Dante – l’Accademia del Cimento che il tecnico di Certaldo – ambizioso come pochi – immagino conosca meglio della Crusca.
Diciassette partite, fra Italia e Europa, senza sconfitte e con due soli pareggi, hanno stanato anche i più (s)qualificati disfattisti che adesso godicchiano soloneggiando e spiegando al popolo quello che non sapevano – come disse Longanesi parlando dei giornalisti -, ovvero le virtù di Kvaratskhelia, di Kim, di Osimhen, Lozano, Raspadori, Simeone, anche di quel guerriero italianuzzo che si chiama Giovanni Di Lorenzo, per non dire dei cosiddetti rincalzi che entrano a bellezza mostrare.
Sia chiaro che mi permetto certi accenti perchè nel Grande Rinnovamento ho subito creduto: mi piacque la formula antigattopardiana del “tutto cambia per cambiare davvero” ispirata dal pragmatismo aureliano. Direte che ci sono – eccome – anche l’Inter, il Milan, la Lazio, l’Atalanta che tuttavia – seguendo l’indicazione speciale di Klopp – per ora giocano un altro campionato. Terque quaterque…
Poi c’è la Juve. Che ha preso coraggio e ha innovato non come il Napoli dei prodigi, ma come la Signora d’antan che chiamandosi Gioventù s’affidava ai giovani. Da mesi andavo scrivendo di Gatti e Fagioli rendendomi conto di sfiorare le storie di Bertoldo, ma lo facevo ispirato da certi tifosi che, più esperti di Allegri e del suo staff, conoscevano da tempo la bravura dei ragazzi ignorati o male utilizzati o esiliati. Una volta i cronisti – quorum ego – conoscevano anche i giocatori della De Martino e della Primavera, spesso talenti salvifici. Certo, ai Mondiali qatarini non ci saremo e dovremo anche subire la lunga pausa di riflessione. Ma godiamoci questo Napoli rinunciando per una volta alla faziosità. Riflettete, gente, riflettete.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).
IL CORAGGIO NEL NAPOLI DEI PRODIGI E NEI GIOVANI DELLA SIGNORA D’ANTAN
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