Gol, golazzi, gollonzi, ce n'è per tutti, a pioggia, sembriamo il Paese di Bengol. Eppure, nella partita più bella del weekend, Milan- Torino, neanche uno. Tanti quasi gol da risvegliare Carosio nell'Alto dei Cieli, spettatore insieme a Gigi Radice che non era proprio un mistico ma il nostro cuore lo elegge divino. Una partita classica non solo di cartello (ricordiamo che su entrambe le panche s'è seduto anche Rocco) ma per come l'hanno giocata due squadre che purtroppo hanno lasciato per strada punti preziosi. Il Toro ha dominato il primo tempo, demoralizzato dalle paratissime di Donnarumma; grande secondo tempo del Milan, l'arte del contropiede messa in mostra senza vincere premi. Più alta la sfiga degli errori. Troppi gol – dicono – una trentina, esagerata. Perché?
1) Difensori terrorizzati dalla VAR. (Una balla).
2) Difensori sbandati causa marcatura a zona: lo piglio io, no tu; e intanto pigliano gol. (Mezza balla: così soffrono i tiri piazzati. Punizioni e corner).
3) È solo gioco bello, moderno, spettacolare, la negazione del calcio "all'italiana" (e lo dicono nelle ore in cui il Divino Sarri ha fregato il suo Maestro Guardiola perché Abramovic gli ha fatto vedere la classifica del Chelsea e gli ha detto "io paga, tu vince").
Ringrazio Sarri, gliel'ho tanto raccomandato, a Napoli, di stare attento in difesa, per il risultato, però a lui non piaceva, tanti webeti napoletani l'avrebbero massacrato. A Londra però seppoffà. Il problema è un altro: portieri spesso penosi. Tranne pochi. Szczesny che non fa rimpiangere Buffon, Donnarumma che fa 100 e finalmente è in salute, Sorrentino che emoziona. Poi non saprei, il Napoli s'aggiusta con tre discreti guardiani, forse meglio di Reina, ma tanto è sempre avanti; la Roma ha perso Alisson, e si vede. Non mi viene in mente altro. Così i palloni entrano e i bomber si moltiplicano in un mondo calcistico – l'Italia – in cui la Nazionale soffre perché non trova bomber. Molti davvero non ricordano quanti successi storici sono legati ai grandi portieri, a Ghezzi, Albertosi, Sarti, Negri – bravissimi – a Zoff e Buffon, Mondiali. Spendono in attaccanti spesso bufalotti e dimenticano la regola fondamentale del calcio: primo, non prenderle.
La Juve è la Juve non per il fatturato – come ormai raccontano i cronisti di Piazza Affari – ma per l'equilibrio raggiunto: c'è Ronaldo ma c'è anche Chiellini, e l'ormai eccellente Allegri che toglie e mette ma sempre rispettando l'equilibrio. Il Napoli è l'unico serio inseguitore perché Ancelotti è uno dei pochi che può dire "ho una squadra di sedici giocatori" ed è vero; che non fa "titolarissimi" e dunque non fa turnover, cambia e basta. L'Inter potrebbe essere Juve ma si distrae sul più bello e Mandzukic lo frega. La Roma è – come in piccolo il Bologna- la classica squadra gestita da lontano. Male. Quant'è bravo Monchi? Non so, ma posso assicurare che anche il celebratissimo Marotta sarà sempre il pater di una società composita, non di casa sua.