ROMA (ITALPRESS) – Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto di riforma costituzionale per la separazione delle carriere dei magistrati giudicanti e requirenti, e cosi si sono accesi i fuochi della contrapposizione. La destra esulta per la rivoluzione, la sinistra parla di involuzione. Si può solo sperare che questo tema non diventi un ennesimo focolaio di contrapposizione partigiana, insieme ad altri ancora. Ormai la politica italiana si adopera diabolicamente a dividere il Paese su ogni cosa, raramente ad assottigliare la catasta di pesi che opprimono i cittadini. Ma la “questione” magistratura dura da molto tempo, soprattutto l’annosa responsabilità civile del magistrato. Nel lontano 1987, si tenne un referendum abrogativo che mirava a cancellare alcune norme del codice di procedura civile per consentire ai cittadini che si sentissero danneggiati per dolo o colpa grave del magistrato di essere risarciti da quest’ultimo e non dallo Stato per i danni causati con la sentenza sbagliata.
Ricordiamo che il voto favorevole a questa proposta ottenne un grandissimo favore degli elettori, ma clamorosamente non si applicò. Clamorosamente, l’anno successivo, il governo mise in atto uno strumento legislativo che riportò in capo allo Stato l’eventuale risarcimento, nullificando il volere popolare orientato a ottenere con l’accertata responsabilità dolosa del magistrato un meccanismo equo di deterrenza verso comportamenti dolosi. Un errore clamoroso sotto ogni punto di vista che ha aperto da tempo una ferita grave sul tema della giustizia, alimentato fino ai giorni nostri da molti casi di eclatanti errori giudiziari, quasi tutti riguardanti personalità politiche che poi, dopo lunghissime traversie, hanno potuto essere scagionate dopo aver pagato per lunghi anni prezzi altissimi. Per queste ragioni e per tantissime altre ad esse legate, la convinzione assai diffusa che alcuni casi siano stati infettati da ragioni politiche, basterebbero a giustificare una riforma della giustizia.
Chi ha buon senso dovrebbe comprendere che il potere terzo della giustizia, per poter disporre di indipendenza, non tollera neanche il minimo errore che possa inficiare la sua natura rispetto alla disposizione costituzionale. Dunque, il fatto che si separi la carriera dei giudicanti dai requirenti, dopo i tanti fatti non virtuosi, dovrebbe essere sostenuto da tutti. Non a caso, il miglior servitore dello Stato come Giovanni Falcone aveva assai caldeggiato il provvedimento prima che venisse ucciso dalla mafia. Era la fine degli anni ’80 e su mia richiesta per la preparazione delle tesi di riforma della giustizia da discutere nelle assemblee da tenere a a Roma, Napoli e Milano, si pronunciò con nettezza per la separazione delle carriere, opinione che aveva maturato da tempo. Ora, la proposta del Ministro Carlo Nordio si limita a disciplinare nell’ordinamento giudiziario le carriere distinte, con concorsi distinti. Il tema che i nuovi organismi per l’esercizio disciplinare non siano coincidenti, e che i membri di tali organismi debbano essere sorteggiati tra soggetti del sistema giudiziario estratti a sorte, smentisce ogni dubbio sulla permeabilità del sistema utile per i governi di turno e per le corporazioni, come racconta l’incresciosa storia di Palamara.
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