Mi sono affacciato a San Siro, ho partecipato alla festa dei 125 anni del Milan, ho visto sfilare le sue glorie, campioni e campioni, quasi una storia del calcio, e l’orgoglio professionale di averli rivisti tutti come in campo, da Franco Baresi che raccoglie tutti gli Eterni a Francesco Camarda, il ragazzino che si fa carico del futuro insieme ad altri adolescenti discendenti di Renzo De Vecchi che indossò quella maglia nel 1909 – a quindici anni – quando il Diavolo ne aveva appena dieci.
Ho visto il Napoli di Conte rimediare con puntualità col successo di Udine, proponendosi per uno scudetto speciale che certificherebbe la sua disinvolta vita di tecnico vincente anche con le squadre designate nemiche della sua Juventus, l’Inter dalla storia, il Napoli dalla cronaca più recente.
Ho visto anche la Juventus di Motta percorrere antiche strade, quando vinceva con un rigore sempre discusso – e adesso s’accontenta di un pareggio, il decimo, con il povero Venezia – con una scelta arbitrale che neppure la Var può contestare nonostante quel che disse Tavecchio al battesimo del malefico strumento: “Metterà un freno alla Juve”. Per il resto, è quel Motta che cerca di ripetere a Torino quel che fece felicemente a Bologna, la città dove il calcio canta. Come ieri. Quando a un tempo d’assaggio – come tradizione di quel derby dell’Appennino giocato spesso in amicizia – è subentrata la lucida follia di Italiano. Don Vincenzo è stato rimproverato da Pradè per certi eccessi…fisici – ruzzolate, capriole, invocazioni al popolo, strilli all’arbitro, rabbia infantile, entusiasmo incontenibile – mentre l’osservatore cinico rivelava i termini di un divorzio amaro con la Viola. A me è rimasto il sorriso dei due ragazzi – Castro e Dominguez – che hanno costruito il bellissimo gol di Odgaard figlio di Odino. Questo è lo sport dove si gioca e si produce anche e soprattutto felicità.
Ho visto tutto, anche la rabbia di Gasperini per gli eccessi di Zaniolo che se li spegni ti ritrovi una pippa e non puoi ignorare che un calciatore deve molto ai piedi, qualcosa alla testa, tantissimo alla personalità. Lo lasci fare, Zaniolo coltiva un sano furore.
Proprio come quello che Alessandro Gabrielloni ha liberato per realizzare un’impresa vitale: il gol vittoria sulla Roma (suo anche l’assistet del 2-0) il primo in Serie A, a trent’anni, dopo aver segnato in tutti i campionati possibili e a tante squadre, riuscendo nell’impresa di salire dalla Serie D alla A sempre con la maglia del Como. Mi ricorda il mitico Hùbner che peraltro segnò anche in Interregionale, Eccellenza, Promozione e Prima Categoria. Milizia sempre onesta finchè il grande Cesc Fabregas si cura di lui. E lui, con quel nome e quella passione da Libro Cuore, ricambia con una vittoria importante non solo per il Como. Ma per l’immortalità del calcio che Sartre disse metafora della vita.
Gasperini lasci fare Zaniolo, Gabrielloni da “Libro Cuore”
Vuoi pubblicare i contenuti di Italpress.com sul tuo sito web o vuoi promuovere la tua attività sul nostro sito e su quelli delle testate nostre partner? Contattaci all'indirizzo [email protected]