“Il consumo di acqua minerale complessivo è di 15 miliardi e mezzo di litri, di questi 14 vengono consumati in Italia, mentre 1 miliardo e mezzo viene esportato. Un export, tra l’altro, che per noi è un fiore all’occhiello perché ci dà un saldo commerciale attivo per 600 milioni di euro. Questo si deve soprattutto alla qualità e alla diversità delle nostre acque minerali perché noi siamo un paese fortunato: abbiamo le Alpi, gli Appennini e i vulcani. Il consumo medio pro capite di un italiano è di 222 litri all’anno, poco più di mezzo litro al giorno”. A dirlo è Ettore Fortuna, vicepresidente di Mineracqua, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia Italpress.
Il settore complessivamente dà lavoro a circa 45/50mila persone tra diretti e indiretti, dice Fortuna: “Abbiamo nel nostro piccolo una caratteristica importante – ricorda il vicepresidente di Mineracqua – essendo le nostre sorgenti in zone poco industrializzate abbiamo stabilimenti che si trovano nei primi altopiani delle montagne quindi in zone dove la realtà occupazionale è pressoché esclusiva”.
La crisi pandemica non ha fatto sconti al settore: “Quest’anno – nota Fortuna – ha perso di valore per effetto del crollo delle vendite del canale di hotel, ristoranti e alberghi e anche dei consumi fuori casa, il consumo, cioè, che in gergo chiamiamo ‘On the Go’, quello di chi prende la bottiglietta per berla al parco. La gente non esce più non gira più, i ristoranti sono chiusi alle 18 e questo ha penalizzato in termini di valore e non solo di volumi”.
La qualità media dell’acqua potabile italiana “è buona, e questo è un vanto” ammette il vicepresidente di Mineracqua. Tuttavia, “un postulato deve essere chiaro: si tratta di acque diverse. La nostra – spiega – è un’acqua pura all’origine, batteriologicamente pura, con un controllo batteriologico che esclude la possibilità che sia inquinata, mentre nell’acquedotto è diverso. La garanzia che dà l’acquedotto sulla qualità della sua acqua arriva per legge fino al punto di consegna, cioè il contatore, e nessuno può garantire dal contatore fino all’abitazione”.
Si parla oggi di ‘bottle to bottle’, ricorda Brachino, e Fortuna prontamente risponde: “Da bottiglia a bottiglia. Vuol dire che da una bottiglia post consumo, quindi bevuta e posta nella raccolta differenziata, si avvia il riciclo e si fa un’altra bottiglia: quella bottiglia non muore mai. Secondo i nostri studi – aggiunge – se si prende una bottiglia da mezzo litro in plastica è quattro volte più sostenibile di una da mezzo litro in vetro perché il vetro è un materiale ‘energivoro’: si produce in altoforno a 1400°, si pensi all’emissione di CO2. Il vetro inoltre è molto più pesante”. Ricorda poi Fortuna: “Noi utilizziamo una plastica che si chiama Pet, polietilene tereftalato, che si usa e si fa presto a mettere in un contenitore per la raccolta differenziata. Si è parlato in questi mesi della rivincita della plastica: il Pet è un polimero inerte e dunque è impossibile che ci siano frammenti nell’acqua perché degrada a 160°. È dunque impossibile anche che si sciolga nel mare”.
Il contratto collettivo firmato lo scorso autunno “è stato piuttosto tormentato. Noi, con un atto di realismo, abbiamo firmato insieme ad una parte di associazioni. Abbiamo inserito delle specificità – spiega Fortuna – che sono molto importanti, ad esempio un osservatorio congiunto tra il sindacato e le nostre imprese sulla evoluzione della legislazione in materia di acque minerali”.
Tassa sulla plastica? “La motivazione è prendere i soldi” replica senza mezzi termini Fortuna. “Dico – aggiunge – che è una tassa che è stata messa senza conoscere le cose”. Serve una distinzione: “Le plastiche non sono tutte uguali – spiega – ci sono plastiche che possono tornare a fare lo stesso lavoro e plastiche che finiscono in inceneritore perché non si riciclano. In secondo luogo, si tassa il materiale ma non si tassano i comportamenti della gente e non si prevede che inciderà sullo sviluppo delle aziende, e chi investe più in sostenibilità? Questo si ribalta sul consumatore e probabilmente si ribalterà anche sull’occupazione”.
Fortuna aggiunge poi una riflessione: “Dobbiamo renderci conto che è impossibile tornare indietro, la plastica ce l’abbiamo addosso. Qual è la soluzione? Non punire, tassare, penalizzare. La soluzione è recuperare, riciclare e fare dell’altro”.
Riguardo al Recovery Plan il messaggio di Fortuna è “molto semplice: fateci lavorare in pace, non tassateci a priori e portate fiducia nelle imprese perché noi sappiamo lavorare”. Il vicepresidente ricorda, a tal proposito che negli ultimi 10 anni l’azienda ha aumentato le vendite del 30% in Italia di acqua minerale, eppure “la quantità di plastica che immettiamo oggi sul mercato è la stessa di 10 anni fa perché abbiamo ridotto il peso delle bottiglie attraverso una tecnologia molto sofisticata e un ecodesign”. Dunque, conclude: “Aiutateci ad investire nello sviluppo e nella ricerca di plastiche biodegradabili o biocompostabili”.
(ITALPRESS).
Fortuna (Mineracqua) “Acque di qualità, export fiore all’occhiello”
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