Questo Mondiale mi manca già tantissimo. Ritiro le armi con le quali ho (giustamente) sparato ai signori del Qatar che si sono comprati l’evento da Platini e Sarkozy – petrodollari loro – e cerco di entrare nella favola che da oggi tenteranno di raccontarci i pedatori di tutto il mondo, orfani dell’Italia Mammona che ha perso il volo per Doha e ha affidato a Mancini l’onere della crescita dei Pafundi minorenni. Il Mondiale mi manca davvero: da cronista, da appassionato, da lettore. Arrivato a Doha, non sarei caduto nella trappola del “qui non si beve birra”, che sembra un divieto esotico e invece è vietato anche in Italia (art.5 della legge 287/1991); avrei cercato nella faccia della gente la curiosità o il disinteresse di cui già si parla tanto senza aver visto ancora una partita, ed è certo solo lo stadio che può dirci se c’è la febbre a 90° di Nick Hornby o l’indifferenza di Moravia. A proposito del quale aggiungo che da lettore mi mancheranno molto i racconti che scrivevano i suoi colleghi dai Mondiali. Dico di Giovanni Arpino, Mario Soldati, Oreste Del Buono e di Manlio Cancogni – ho appena letto un suo ricordo stamane, m’è tornata in mente la taverna di Vigo dove sorseggiavamo bianco Alvarinho con Beppe Viola – dei bravi scrittori che trattavano il pallone con umiltà e amore.
Ecco, sono curioso della narrazione di questa grande festa, sessantaquattro partite in tv, fiumi di parole, opinionisti, rimpianti e esclamativi. Spero tanto che non mi raccontino fin d’oggi se il Qatar e l’Ecuador giocano il 4-3-3 sarriano, il 3-5-2 rejano, il 2-3-5 o il 4-4-2 del doppiogiochista Guardiola. Spero che tutti si ricordino che questo Mondiale, giocato dove forse non gliene frega niente a nessuno, diventa un prezioso documentario girato praticamente in uno studio dotato di tutte le attrezzature tecnologiche più avanzate, con le squadre più famose della storia, i campioni più acclamati del momento, così Infantino e quelli della Fifa possono farlo vedere a futuri acquirenti del mondo afroasiaticoindiano per futuri Mondiali esotici. Mi fido degli organizzatori, so che la regia farà la sua parte, penso che si affideranno agli amici del cuore – i francesi, già accolti come vincitori – bravissimi a trasformare una torre di pilastri e travi metallici imbullonati in un’opera d’arte firmata Eiffel, mentre noi gli abbiamo dovuto prestare Leonardo.
Aggiungo maliziosamente che la Francia – già beneficiata col PSG dalla Qatar Investment Authority di Hamas bin Khalifa al-Thani – sarà affettuosamente curata dagli organizzatori di famiglia. In un modo o nell’altro. Non a caso si pronostica comunque una finalissima…parigina Neymar-Mbappè, un Brasile-Francia che ci sta. Io penso piuttosto all’Argentina di Messi e Dybala ma tiferò per il Portogallo di Cristiano Ronaldo, il più grande, scappato da Manchester all’inglese poi esploso in una dura filippica contro l’United che l’ha umiliato e offeso. Sarà la prima volta che Golia si trasforma in Davide.
FEBBRE A 90 O INDIFFERENZA, INIZIA LA FAVOLA DEL QATAR
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