“Per quanto riguarda l’Epatite C, in Sicilia abbiamo dodicimila pazienti trattati, di cui il 96 per cento guariti dall’infezione. Abbiamo, poi, altri seimila-settemila pazienti in lista di attesa e un numero stimato di vetimila persone che hanno l’infezione, ma che ancora non sanno di averla”. Così all’Italpress Antonio Craxì, professore ordinario di Gastroenterologia dell’Università di Palermo e responsabile scientifico di “BeLiver”, evento scientifico che coinvolge, oggi e domani, nel capoluogo siciliano 55 epatologi della Regione.
L’incontro si tiene presso l’NH Hotel, è promosso dall’azienda biofarmaceutica Gilea Sciences ed è centrato sul fatto che la Sicilia è un esempio virtuoso nella lotta all’infezione, piazzandosi come un primato a livello italiano.
“E’ un lungo percorso – ha sottolineato Craxì – che stiamo percorrendo con l’aiuto di un registro informatizzato, che finora ci ha permesso di conoscere tutti gli esiti di cura e quindi di prevedere anche il fabbisogno per i prossimi anni. Puntiamo a una diffusione il più possibile capillare dell’informazione sull’infezione. E’ una ‘caccia al caso’ nel senso buono del termine, una caccia a chi, portatore di Epatite C, possa essere curato ed eliminare, così, l’infezione”.
“Si tratta – ha proseguito – di persone con dipendenze patologiche, con stili di vita a rischio, con familiarità importante per l’Epatite C. L’obiettivo è quello, come ci ha detto l’Organizzazione Mondiale della Sanità, di arrivare per il 2030 ad almeno il 90 per cento dei casi dell’infezione trattati”.
E sul fronte delle giovani generazioni: “A loro – ha spiegato -bisogna far capire che è un vantaggio prevenire qualcosa, come nel caso della Epatite C, le cui conseguenze si vedranno distanza di 10, 20 oppure persino 30 anni. Bisogna integrare questa percezione del rischio in un concetto di buona salute, cioè a dovere stare attenti a non prendere infezioni, che sia l’Hiv o l’Epatite C. Per questo, stiamo per lanciare una campagna di informazione – ha proseguito Craxì – che si fonderà sull’apporto di alcuni testimonial, conosciuti dai giovani, per fare vedere che sono persone esattamente come loro, che hanno vissuto un problema che hanno risolto e che anche loro potrebbero avere”.